Bruno Arpaia possiede l’impareggiabile dono della curiosità. Si appassiona a un tema, lo studia a fondo e poi ci costruisce intorno una trama avvincente. Lo ha fatto con gli ultimi scampoli di vita e l’assurda morte del filosofo Walter Benjamin (L’angelo della storia). Quindi si è cimentato nientemeno che con la fisica quantistica e il bosone di Higgs (L’energia del vuoto). Ora ci stupisce, e molto ci spaventa, con le drammatiche conseguenze dei mutamenti climatici in Qualcosa, là fuori (Guanda, come i precedenti romanzi), in libreria in questi giorni.

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Curiosità, si diceva. E approfondimento. Che nulla, però, sarebbero senza la scrittura potente e precisa con cui Arpaia ci accompagna in un viaggio pochissimo immaginario: quello che il protagonista Livio, insieme con altre migliaia di persone in fuga da un’Italia desertificata, intraprendono verso la fine di questo secolo alla vota della Scandinavia, terra promessa dove l’erba ancora è verde. Dove l’erba, soprattutto, ancora c’è. Perché, come nel resto del pianeta, anche nei paesi del bacino del Mediterraneo, in Germania e nelle altre regioni dell’Europa centrale il riscaldamento globale ha prodotto effetti devastanti. Gli stessi che tanti esperti, nel mondo reale di oggi, paventano. Inascoltati.

“Gli scenari di questo libro riprendono (e anzi, spesso ricalcano alla lettera) quelli delineati da Gwynne Dyer nel saggio Le guerre del clima (Marco Tropea Editore), ma li ho attentamente confrontati con i rapporti dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) e dell’European Environment Agency, i quali, però, secondo numerosi scienziati del clima, peccano sistematicamente per difetto” scrive Arpaia in una postfazione (che titola significativamente “Avvertenza”) ricca di molte altre spaventevoli previsioni.

Ma niente paura, Qualcosa, là fuori non è un saggio mascherato da romanzo ma un appassionante road movie su carta (nonché un ottimo soggetto per un vero film: speriamo che qualcuno là fuori, negli studios americani, ne riceva una traduzione).  Livio, anziano professore di neuroscienze, si è risolto a partire per non lasciarsi morire nei miasmi e nell’imbarbarimento definitivo di un Paese e di una città, Napoli, che non riconosce più. Ma non ha la stessa volontà di vivere e credere in un futuro possibile che hanno spinto Marta, una sua ex studentessa ritrovata casualmente sulla strada, a intraprendere il viaggio con la figlia Sara. Anche se marcia ostinatamente con gli altri verso la Scandinavia, lo sguardo di Livio è rivolto al passato, alla moglie e al figlio che ha perso, al lavoro di ricerca che gli aveva dato tante soddisfazioni, al mondo com’era. Quello di Marta, Sara e Miguel – un bimbo rimasto solo e diventato un pezzo della famiglia d’elezione che si forma nel viaggio – è invece lo sguardo di chi vede, oltre la meta, la possibilità di un nuovo inizio.

Ma arrivare lassù, nelle verdi praterie del Nord Europa, sarà difficile e molto pericoloso. Le città, o quel che ne resta, sono in fiamme. I sopravvissuti alla catastrofe climatica sparano dalle colline più alte, dove si sono rifugiati, a chi potrebbe privarli della posizione privilegiata. Gli svizzeri (fra i pochi a cavarsela grazie alle montagne che mitigano gli effetti del riscaldamento) esigono un pagamento in corone svedesi e derrate alimentari per attraversare il loro territorio. Il drappello di guide (tutte donne e tutte agguerritissime) che a caro prezzo, per conto di un’esosa agenzia di viaggi della speranza, scortano queste migliaia di uomini, donne, vecchi e bambini attraverso città distrutte, campagne riarse, greti di fiumi asciutti, paludi là dove c’erano laghi, possono portarli in salvo, ma anche essere spietate con chi non ce la fa a reggere il passo.

Come si è arrivati a quel punto di non ritorno? O meglio, come ci si arriverà, se le previsioni dei più accreditati climatologi sono realistiche e se non si prenderanno al più presto rimedi efficaci? La risposta è a pagina 85 e prende corpo dalla teoria dei giochi. “Per come la vedrebbe un economista, i politici hanno anche una giustificazione razionale per non muovere un dito (…) Dal punto di vista della teoria dei giochi la strategia ottimale per ogni nazione è fare in modo che siano gli altri a ridurre le emissioni (…) Se qualcuno, spendendo o perdendo un sacco di soldi, adottasse delle misure serie per non immettere carbonio nell’atmosfera, tutti ne trarrebbero benefici, però i costi li pagherebbe soltanto lui. Perciò, alla fine, in mancanza di un vero governo sovranazionale, tutti aspettano che siano gli altri fare la prima mossa, e il risultato è quello che sappiamo”. Siamo tutti avvertiti. Chi ha parenti o amici da Stoccolma in su chieda per tempo ospitalità per figli e nipoti.

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