out southLa foto di copertina che ritrae un vecchio telefono a gettoni appeso a un muro verde scrostato, conferma i gusti old fashioned dei siciliani Out South, band che ha da poco pubblicato il suo secondo disco intitolato Dustville, come il nome di un luogo immaginario, che potrebbe essere una città polverosa come Palermo, il posto in cui gli Out South sono nati. Composto da otto dust ballads strumentali, è un disco con il quale gli Out South – Lorenzo Colella (chitarra e autore di tutti i pezzi), Fabio Rizzo (slide guitar), Ferdinando Piccoli (batteria) e Luca Lo Bianco (basso) – si incamminano in un viaggio omerico verso le fonti dell’American Music, sfoderando una certa baldanza tra il blues, il jazz e il folk. Alla base vi è un’idea legata alla semplicità, all’aspetto viscerale della musica, all’improvvisazione, al sound caldo, al jazz, alla musica africana e ai grandi maestri come Duke Ellington.  È un album che ammalia e cattura sin dal blues desertico di Holcomb,  a cui segue Mali, dalle chiare reminiscenze weathereportiane.  Per il resto, si punta sulla fascinazione evocativa di un sound vintage, che però appare moderno al tempo stesso.

Ragazzi qual è il vostro background artistico?
Io (Luca Lo Bianco) e Lorenzo (Colella), l’autore dei brani, suoniamo insieme da tantissimo tempo, da almeno 15 anni, e siamo cresciuti in ambienti jazzistici. Abbiamo suonato insieme jazz e poi, dopo aver messo su la band si sono uniti gli altri due elementi, Fabio (Rizzo) e Ferdinando (Piccoli), che hanno radici legate più alla musica rock e blues. Abbiamo sempre cercato di operare commistioni di qualunque tipo mischiando  più linguaggi.

Da cosa deriva il nome Out South?
Il nome è legato a un brano di Duke Ellington. Ci è piaciuto perché secondo noi esprime quel concetto del Sud che un po’ lo ami e un po’ lo vorresti mandare a quel paese.

Si può dire che il Duca è lo spirito guida di questo disco?
Diremmo che lo è anche Duke Ellington: facciamo un certo tipo di jazz, ma anche tanto blues e il folk americano. Chiaramente filtrati dalla sensibilità di quattro musicisti che hanno girato il mondo, ma che sono nati e cresciuti in Sicilia.

Nel jazz soprattutto, l’improvvisazione è una componente centrale. Mi raccontate com’è andata in studio durante la lavorazione del disco?
Innanzitutto abbiamo trasferito nella musica un approccio legato alla improvvisazione anche se Dustville non è un disco di jazz, ma presenta chiaramente varie componenti di jazz, comprese tante altre cose. Vi sono infatti elementi di derivazione afro-americana, blues. E poi pensiamo che la nostra attitudine oltreché il nostro modo di vedere e praticare la musica si sentano sul disco. Per quanto riguarda il metodo, invece, lavoriamo su delle forme canzoni con temi semplici e su quelli costruiamo sia gli arrangiamenti sia le parti solistiche. Questo ci piace molto in un periodo iper tecnologico, in cui in studio puoi fare di tutto. Noi abbiamo fatto un disco all’antica e di questo siamo molto orgogliosi. Abbiamo fatto una session live e non ci sono sovra incisioni. E questo fa la differenza.

Sono molteplici le influenze che si ascoltano nel disco.
Ci sono riferimenti ad alcune musiche africane e ad alcuni autori, come Bombino, Ali Farka Toure. Abbiamo cercato di fare una sintesi tra quelle che sono le nostre esperienze musicali e i nostri gusti. C’è un’idea che è legata alla semplicità, all’aspetto viscerale della musica, che è legato alla cantabilità, all’improvvisazione, al sound caldo, al jazz, alla musica africana, ad artisti come Bill Frisell e ai grandi maestri come Duke Ellington. Non c’è un artista in particolare a cui ci siamo ispirati, ma ci siamo immaginati uno scenario sonoro fatto di tante componenti.

La vostra musica ha un aspetto visionario.
Sono tantissimi quelli che associano la nostra musica a immagini. Però è una connotazione che esce spesso. E questa è una cosa che ci piace tantissimo anche se non era nelle nostre intenzioni. Se dovessi dirti un film ti direi un film visionario di Werner Herzog o dei Fratelli Coen.

Che posto è Dustville?
Siamo tutti dei girovaghi e abbiamo fatto tanta strada. Dustville è il luogo in cui ci siamo ritrovati, in cui ci siamo fermati e abbiamo progettato questo disco. È un luogo immaginario ma è legato alle nostre radici. Una città polverosa come può esserlo una qualunque città del Sud, come Palermo, il posto in cui siamo nati.

La copertina in cui è immortalato un vecchio telefono quale significato cela?
L’idea di immortalare il telefono a gettoni, un oggetto ormai desueto, è legata alla volontà di fare musica in maniera analogica, senza inquinarla con cose strane. La musica va suonata e non composta col computer. È questa l’idea di base, tornare a fare musica concretamente.

 

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