Qualche anno fa il New Yorker, nel ricostruire la genealogia della fortunatissima serie televisiva House of Cards, annoverava tra le fonti di ispirazione l’opera di William Shakespeare Riccardo III. Del resto Kevin Spacey ha portato l’opera a teatro, e ha dichiarato esplicitamente di essersi ispirato, per impersonare il protagonista Frank Underwood, all’ultimo dei sovrani Platageneti, o meglio alla versione che ne diede il Bardo, di cui in questi giorni si ricordano i 400 anni dalla morte, avvenuta il 23 aprile del 1616.

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Frank è cinico e feroce, proprio come Riccardo III, con una spruzzatina di Macbeth. L’autore dei libri da cui la serie è stata tratta, Michael Dobbs, che è stato un insider della politica britannica al fianco di Margaret Thatcher nelle file dei tories, in un’intervista ha dichiarato anch’egli il debito contratto con Shakespeare. Ma c’è qualcos’altro, in quell’intervista, che richiama la nostra attenzione: il giornalista infatti scrive che è difficile vedere in Dobbs, con il suo aspetto da ragazzo, un “machiavello di Westminster” (“a Westminster machiavel”). In effetti, oltre a Shakespeare, quando si parla di Frank Underwood il pensiero corre al Segretario fiorentino, il cui nome è stato legato, a torto o a ragione, all’arte sottile e cinica della politica senza scrupoli: la politica che rivendica la propria autonomia rispetto alla morale e in cui “il fine giustifica i mezzi” (ma la frase è apocrifa).

In Inghilterra la leggenda nera di Machiavelli aveva avuto una propria diffusione, innestandosi su una preesistente tradizione critica nei confronti del potere politico, che risale agli inizi del 1400 e che usa in particolare due parole per designarne la malvagità: practice e, per l’appunto, policy. Nel 1591 era comparso un libello ugonotto scritto in inglese nel quale si attribuivano alla malvagità dei politici italiani (il riferimento era alla corte di Caterina de’ Medici, sovrana di Francia e figlia di quel Lorenzo a cui il Principe è dedicato) più morti di quanti ne avessero fatti il veleno dei serpenti, la crudeltà delle tigri, leopardi, coccodrilli, linci, orsi e altri voraci animali in tutti i tempi dalla creazione. Ma già prima il nome di Machiavelli era circolato a indicare, con le parole del grande anglista Mario Praz, “un modo proditorio di uccidere, generalmente col veleno; e ateismo”. Insomma, la politica è il Male, e Machiavelli è il suo arcidiavolo.

Che Shakespeare avesse letto direttamente Il Principe è molto improbabile, poiché la prima edizione in inglese è del 1640. Tuttavia, anch’egli, nelle proprie opere, diede risalto alla figura di Machiavelli, mentre policy, in quell’accezione negativa che si diceva prima, era una delle parole preferite del Bardo. Shakespeare, è stato detto, ci ha mostrato il ‘machiavellismo in azione’. Un personaggio delle Allegre comari di Windsor chiede: “Sono un politico? Sono un furbone? Sono un Machiavello?”, mentre nell’Enrico VI il malvagio Riccardo III di York – padre del Riccardo III citato – dichiara “Posso fare scuola al micidiale Machiavelli”. In altri passi shakespeareani ricorre practice come ‘raggiro’, ‘macchinazione’, ‘complotto’. Complesse sono le ragioni della sfortuna critica di Machiavelli oltremanica, ma resta il fatto che essa attecchì sul già rigoglioso tronco della polemica anti-assolutista che vedeva la politica come arte dell’inganno, e che il teatro elisabettiano abbia presa e fatta propria questa tradizione, che culminò proprio con l’opera di Shakespeare. Nel teatro elisabettiano, è stato calcolato, Machiavelli viene citato 390 volte, mentre il poeta Wystan Hugh Auden scriveva, a questo proposito, di “un’insistenza ossessiva sull’idea dell’italiano malvagio”.

Insomma, un italiano cattivo, formato alla scuola della ragion di Stato, un politico ingannatore e cinico ricalcato sull’archetipo machiavelliano. Se Frank Underwood, tanto amato dal presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi, è dunque il nipotino di Riccardo III, nelle sue vene scorre – ahinoi – anche un po’ di sangue italiano. E se proprio oggi l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano dedica a House of Cards una conferenza con Aldo Grasso e altri attenti osservatori di televisione e politica intitolandola “Da House of Cards alla Casa Bianca”, forse sarebbe il caso di pensare a una nuova conferenza dal titolo “Da House of Cards a Palazzo Chigi”.

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