L’omicidio stradale è legge. Ora però non bisogna mollare. Controlli sulle strade e campagne di prevenzione. Tenere alta l’attenzione sulla strage stradale significa anche e prima di tutto continuare a parlarne. Testimoniare la portata della strage, cosa accade da quel preciso momento in seno a una famiglia. Precisare i rischi, analizzare le cause, tenere alta l’attenzione sulla disattenzione. L’omicidio stradale risponde al “dopo”, ma c’è un “prima” per cui bisogna continuare a impegnarsi.

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Tante volte le associazioni e i famigliari di vittime hanno sottolineato che quella contro la strage stradale è una battaglia di civiltà. Caspita se lo è. Ed è una battaglia per la maturazione della consapevolezza della strage di questi anni, di cosa significa per chi resta, dei rischi che si corrono in strada – a piedi, in bicicletta, in moto, in macchina, sul sedile anteriore, su quello posteriore, che si guidi o no.

La cintura di sicurezza per chi sta dietro è obbligatoria dal 1989. È una battaglia che ha principalmente a che fare con il rispetto dell’altro, che si misura nelle reciproche libertà: dove inizia la mia e dove finisce; dove inizia la tua e dove finisce. Sulla strada si testa il nostro senso civico. L’introduzione del reato di omicidio stradale è uno scatto in avanti importante. La giustizia per le vittime e per i loro famigliari, è importante. Interpretare questo momento – che è certamente un traguardo raggiunto – come l’inizio di un percorso svolto, un percorso che continua, illumina ancora di più l’ambizione a fare di più e meglio, non solo nelle scuole. Non solo con gli studenti. Ma con gli adulti con cui si interfacciano e si interfacceranno. Per gli adulti che saranno. Perché una società adulta nutre e lavora per quell’ambizione.

Leggo la “soddisfazione delle associazioni Lorenzo Guarnieri, Asaps e Gabriele Borgogni”. L’immagine che accompagna le loro parole, alla voce “omicidio stradale”, dice: “Fatto!”.

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