Mentre l’opinione pubblica italiana, giustamente e doverosamente, esprime indignazione per l’omicidio di Giulio Regeni e chiede verità e giustizia, in Egitto prosegue senza soste la repressione nei confronti della libertà d’espressione.
L’ultimo a farne le spese è stato lo scrittore Ahmed Naji, condannato il 20 febbraio dal tribunale di Bulaq a due anni di carcere per “offesa alla morale pubblica”.
La vicenda era nata dalla denuncia di un uomo che si era sentito offeso da un estratto del libro Istikhdam al-Hayat (“Guida all’uso della vita”), in cui si parla di sesso e droga, pubblicato nel numero 1097 della rivista Akhbar al-Adab. Per questo, era finito in giudizio anche l’editore Tarek el-Taher.
Il processo di primo grado, un mese fa, nel quale erano intervenuti come testimoni della difesa i noti scrittori Mohamed Salmawy e Sonallah Ibrahim, era terminato con l’assoluzione di entrambi gli imputati. La pubblica accusa aveva fatto ricorso.
Così, in appello, l’uomo che si era sentito offeso ha avuto ragione: due anni di carcere per Naji e una multa di 10.000 sterline egiziane per el-Taher.
L’articolo 178 del codice penale, sulla cui violazione si è basata la sentenza di condanna, è formulato in modo così vago e generico da attribuire al giudice il massimo della discrezionalità e dell’interpretazione.
Il testo punisce con un massimo di due anni di carcere e una multa da 5000 a 10.000 sterline egiziane “chiunque realizzi o possegga a scopo di vendita, distribuzione, noleggio o esibizione materiale stampato, manoscritti, disegni, pubblicità, fotografie, bozze, simboli o altri oggetti o immagini in generale… contro la pubblica morale”.
L’articolo 67 della Costituzione egiziana tutela la libertà artistica e la creatività della letteratura. A quello si sono appellati i tanti scrittori egiziani per chiedere l’annullamento della condanna di Naji.
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