Diciamo la verità: per 364 giorni l’anno dei disabili non frega nulla a nessuno. Chi non ha la ventura di avere un fratello, un genitore, uno zio o un cugino disabile in genere al massimo li incontra al supermercato o li incrocia per strada, perché vivono confinati nelle loro famiglie, negli istituti statali, nelle case famiglia. Magari dietro la porta del vicino che abita sull’altro lato del pianerottolo, ma in genere lontani dai nostri occhi. E ancor più lontani dai discorsi e dai pensieri della classe dirigente: nonostante la problematica investa centinaia di migliaia di famiglie, i disabili non sono abbastanza appetibili dal punto di vista elettorale, sono un bacino di voti troppo esiguo perché la politica li consideri.

All’improvviso, però, una sera qualunque nel bel mezzo di un Sanremo qualunque, Ezio Bosso sale sul palco dell’Ariston e per un istante rompe il quotidiano tran tran dell’indifferenza. Parla a fatica e a fatica suona, si muove a scatti. La sua umanità infiltra le telecamere e si abbatte come una cascata improvvisa nei salotti degli 11 milioni di italiani che come ogni sera della loro vita guardano la tv. E subito l’emozione si traduce in una marea di post sui social network. Tutti a raccontare, a esprimere in una manciata di caratteri le emozioni provate di fronte alle mani di Bosso che a fatica percorrono la tastiera del pianoforte.

66mo Festival della Canzone Italiana, Seconda serata

Tutto bello, tutto giusto, ma il pericolo è che si tratti dell’illuminazione di un attimo. Il rischio (quasi una certezza) è che tutto rimanga a livello di semplice stimolazione epidermica, che alla fine della performance e del suo potenziale messaggio non rimanga altro che la stranezza, il freak show. Come quando nei circhi di una volta i nani e la donna barbuta (a Sanremo lo scorso anno andò Conchita Wurst…) venivano buttati in pista per scatenare senza troppa fatica l’applauso del pubblico.

E’ giusto tutto questo? No, non lo è. Perché Ezio Bosso, prima ancora che disabile, è un artista. Uno considerato dagli addetti ai lavori al livello di Ludovico Einaudi, ma più bravo. Uno che suona alla Royal Opera House di Londra, come ha ricordato lo stesso Carlo Conti in diretta tv, o che nel 2003 aveva firmato la colonna sonora di Io non ho paura del premio Oscar Gabriele Salvatores. Che negli anni 80 suonava il basso e il contrabbasso negli Statuto. La Sla lo ha colpito nel 2011, ma lui scriveva da decenni. Compone musica sinfonica. Una perla nel bistrattato panorama dei compositori contemporanei italiani, nota fino a ieri solo agli appassionati. E perché è salito sul palco dell’Ariston? Per via del suo talento? Perché compone bene? Sì, certo. Ma anche, e forse soprattutto, perché è disabile. Ma Ezio Bosso è un musicista, un compositore e un pianista. Non un musicista disabile, né un disabile musicista.

Bravo (dal punto di vista professionale) e furbo Conti a intuirne il talento e l’umanità, mix in grado di tradursi in potenzialità televisiva e capacità di fare presa sul pubblico sanremese. Al di là delle intenzioni commerciali dell’operazione, il suo risultato ha potenzialità interessanti: potrebbe fornire un ottimo spunto di riflessione a chi considera quello della disabilità un problema altro, lontano. Che non ci riguarda. O che ci riguarda solo quando ci arriva addosso un’emozione come quella di Bosso.

Perché l’emozione si nasconde ovunque, anche dietro la porta del vicino di casa che ha un figlio disabile. O dall’altra parte della strada, dove una struttura comunale ospita una comunità di tetraplegici. Per questo il consiglio a chi si sdilinquisce in commenti sulla performance di Bosso commosso dalla sua disabilità potrebbe essere questo: voi che avete riversato sui social la vostra emozione, per emozionarvi di nuovo e dimostrare a voi stessi che avete intuito le immani dimensioni del problema, domattina andate a visitare una delle case famiglia che avete nelle vostre città, paesini o borghetti e andate a vedere come si reggono in piedi solo grazie alla buona volontà della gente che ci lavora, mentre le istituzioni se ne fregano e li insultano – vedi Gasparri al Family Day – quando va male (cioè quasi sempre) e quando va bene le considerano al massimo un fastidio cui destinare un po’ di risorse.

E poi andate dall’assessore alle Politiche sociali del vostro comune e chiedete che nel prossimo bilancio qualche migliaio di euro in più finisca a queste strutture. Inondate i social di appelli perché le istituzioni facciano qualcosa, come fate in massa ogni volta che un comune minaccia di chiudere un canile. Altrimenti sarà stata soltanto l’ennesima occasione in cui vi sarete emozionati grazie a stimoli venduti un tanto al chilo, avrete pasturato la vostra coscienza asfittica e ve ne sarete dimenticati il giorno dopo. E la performance di Ezio Bosso a Sanremo, pur non essendolo, rimarrà il solito, desolante freak show.

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