“Se devo pensare a che cosa sia esattamente un cittadino del mondo, a me viene in mente Giulio”. Ne è sicuro Neil Pyper, docente di strategia e leadership all’Università di Coventry, non lontano da Birmingham nel Regno Unito, e “amico personale” di Giulio Regeni, l’accademico italiano ucciso barbaramente in Egitto. Il mondo accademico ricorda così lo studioso di Fiumicello, in provincia di Udine. La volontà è lanciare una petizione al governo britannico per far sì che i ricercatori inviati in paesi problematici siano più tutelati. E poi l’istituzione di una borsa di studio in suo nome o una conferenza in sua memoria. Con una certezza: la figura di Regeni deve essere difesa anche dalla ricostruzione (fatta propria anche da una parte della stampa) che mette in relazione il giovane e in servizi segreti. Secondo chi conosceva e frequentava Giulio nel Regno Unito, nessun indizio farebbe pensare a questo. “Io di certo non ne ero a conoscenza”, ha aggiunto Pyper.

I ricordi di chi aveva a che fare con lui possono comunque servire a capirne qualcosa di più. “Giulio era una persona sensibile, affascinante, molto concentrata sull’esperienza internazionale, un ragazzo che nonostante la sua età aveva già fatto un sacco di cose”, continua Pyper, che con Regeni ha condiviso un’esperienza di lavoro alla Oxford Analytica, azienda privata di consulenza nel campo della gestione del rischio e delle relazioni internazionali. “Io lì ci ho lavorato nove anni, Giulio invece circa un anno. Voleva veramente che la sua attività servisse a qualcosa, aveva grandissime ambizioni ed era molto contento per il suo lavoro. E di sicuro non sembrava particolarmente nostalgico dell’Italia”.

Laurie A. Brand, americana della University of Southern California, docente di relazioni internazionali ed esperta di Medio Oriente è la cofirmataria di una lettera indirizzata alle autorità egiziane per chiedere maggiore sicurezza per ricercatori e studiosi in Egitto. Brand fa parte di quel mondo accademico frequentato anche da Regeni, che in Egitto si appoggiava proprio all’Università americana del Cairo, ed è assai scettica sull’evoluzione della situazione nel Paese nordafricano: “Penso che il tragico esempio di Regeni dimostri chiaramente come i ricercatori e gli accademici stranieri siano a rischio. Spero che la verità venga fuori, ma non sono ottimista”.

Ma dal Regno Unito emergono anche altre storie, perché Regeni non era solo un accademico impegnato e brillante, ma anche un ragazzo non ancora trentenne che “amava la vita”. Gian Paolo Faella, ricercatore e insegnante campano, proprio con il giovane friulano ha passato tanto tempo. “Ci conoscemmo nel 2012 ai seminari di un gruppo di studio di Cambridge, il Market Square, un gruppo di lavoro al confine fra economia e studi politici. Lui allora stava facendo il suo master qui a Cambridge e già studiava i sindacati e le rivolte operaie in Egitto”. Poi c’era anche il Regeni ‘cervello in fuga’, che aveva lasciato la sua Italia. “Ma non era un nostalgico – ha concluso Faella – ed era molto contento di viaggiare, nonostante questo legame fortissimo con Trieste, dove aveva studiato al liceo Petrarca, città di cui parlava spesso”.

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