In Francia non è un traduttore, è il Traduttore, tra i più eclettici. Intelligenza meridionale in fuga, ha veicolato oltr’alpe la letteratura italiana. 71 anni (gliene daresti 50), deleuziano, sardonico, timidezza da farlo apparire schivo: è Jean-Paul Manganaro. Bordolese per parte materna, sicano d’origini paterne (da Avola che dà il nome al nero vitigno), insegnamento d’Italianistica a Lille III, legato alla Calabria dal Premio internazionale Maurizio Grande. Più di 180 traduzioni in italiano: Artaud, Deleuze… e francese: Pasolini, Gadda, Calvino… per Gallimard, Seuil, P.O.L. Casi letterari ai limiti della traducibilità e il merito d’aver fatto cadere il pregiudizio traduttore/traditore.

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Per la traduzione hai usato la metafora della danza e pensi non sia creazione ma invenzione. Cos’è per te tradurre?

Ho detto danzare: il primo verbo che mi è venuto, avrei forse dovuto dire ballare, più consono. Non si tratta di danzare o ballare un minuetto ma stare in equilibrio sul filo del rasoio tra due lingue, ovvero ballare come un folle, come se fossi in preda a una febbre. Cos’è per me? Inutile raccontare le vicende dall’inizio, sono passati 45 anni dal 1970 quando ho cominciato e la nozione del tradurre ha subìto variazioni complesse. Contano le circostanze. Ho avuto la fortuna di tradurre diverse opere di ogni autore, Gadda, Calvino, Del Giudice, Bene, Camon, Tomasi di Lampedusa, Calasso, Fois, Mari, Prosa, Pirandello, Consolo, Testori, Tarantino, Tasinato, Pasolini, Scimone: non frammenti o opere sparse ma delle continuità, mondi, blocchi. Cambia la percezione: non il battito d’un sol ritmo ma modulazioni infinite che s’intersecano in un’opera più complessa e totale, una massa che t’invita a lavorare come se dovessi scolpire qualcosa. Di ogni autore puoi lavorare meglio l’essenziale: le sfumature perché il campo percettivo è più ampio ma è necessario che l’autore abbia una scrittura forte.

La traduzione, lingua non detta.

Lingua non detta perché non è mai parlata, resta sempre una lingua scritta, la leggi con gli occhi, forse mormori qualche frase quando ti sembra di sentire suoni che ti convengono ma non è mai una lingua sulla quale s’impara a parlare. La lingua che si dice (comporta un soggetto) è solo quella dell’autore, non appartiene al traduttore. Non detta: la devi sentire attraverso l’orecchio interno, lo strumento che ti permette d’esternare il testo e deve coincidere in una risonanza muta con l’orecchio interno dell’autore. Ma ciò non fa del traduttore un autore, resta traduttore.

Pasolini, Gadda, l’autore del cuore, Calvino, che Wahl ti propose per Seuil mentre traducevi l’Adalgisa. Sei passeur della letterarietà italiana in Francia

Non credo d’essermene reso conto. Quando lavori non pensi a questa latitudine, ti concentri sulle pagine presenti, fuori dal tempo. La contiguità con l’insegnamento universitario mi ha dato la sensazione che tradurre era il compendio pratico, un esercizio necessario alla letteratura.

Tra le persone più amate Carmelo Bene, su cui hai scritto una monografia e di cui ha tradotto l’opera omnia

Carmelo Bene è un’altra storia. Anzitutto è teatro puro, l’ho tradotto dopo un lungo lavoro critico. Il suo teatro è anche letteratura. In lui, nel suo testo, risuona interamente la sua voce parlata e detta, anche quando il testo di partenza non è suo, ma sapeva far proprio, eccome! il testo altrui. L’ha spiegato molto bene.

Come spesso per i creativi sei anche un cuoco. Cul in air.

In italiano, Cul in aria, che è anche meglio. 150 ricette inventate, alcune riproposte, tramate in un reticolo letterario che gioca con i doppi sensi del francese. Una sotie letteraria leggera e provocatoria, impossibile da leggere per i bourgeois che non vogliono essere épatés. La cucina è l’anticamera della gola e il libro si diverte a rimestare tra prosa e poemetti carnevaleschi. Un’operetta, un po’ come Offenbach ma anche un libro sulla democrazia delle virtù culinarie. Mi sono divertito a scriverlo. Quando l’ho finito mi sono reso conto che era impossibile tradurlo in nessun’altra lingua. Andrebbe riscritto.

Se dovessi paragonare la traduzione ad un sapore?

Caffè denso, poco zucchero, quasi amaro, cioccolato amarissimo. 

Il tuo ultimo lavoro: Liz T, autobiografia paradossale in uscita per Il Saggiatore.

Avevo voglia di scrivere su di lei, Liz Taylor, che avevo amato da bambino e da adolescente. Ho letto 2 o 3 biografie, assolutamente vuote, non c’era niente. Allora, fedelmente, le ho inventato una vita affettiva e mentale, quindi un’autobiografia.

Foto @salvogennuso

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