Quarta serata del 63esimo Festival di Sanremo

Stefano Bollani torna con Arrivano gli alieni (settembre 2015, Decca), il suo terzo disco in solo, ma stavolta spiazza tutti e canta. Ebbene sì: in questo album uno dei nostri più geniali pianisti ha scritto tre canzoni inedite e se le canta, a modo suo. Parola di Bollani: “Volevo fare il cantante. Ho iniziato a suonare il piano a sei anni per poter un giorno accompagnare la mia voce. Oggi invece è la mia voce ad accompagnare il pianoforte.” Rendiamo grazie a Bollani.

La strumentazione dell’album non prevede di certo solo il pianoforte; il vero protagonista è il Fender Rodhes, pianoforte elettrico che in mano ad altri può avere un suono vintage, ma che sotto i polpastrelli di Bollani acquista un timbro “futuribile”.
Quindici tracce, con sei brani inediti, tra cui spiccano le tre canzoni cantate: Microchip, Un viaggio e Arrivano gli alieni. Sono presenti inoltre reinterpretazioni strumentali di brani sempreverdi, tra cui Aquarela do Brasil, Quando, quando, quando, Matilda, Jurame o You don’t know what love is, anch’essi proposti in un intreccio tra il Fender Rodhes e il pianoforte acustico, per un timbro che rimanda a sonorità “cosmiche”, quasi a dare la sensazione d’interazione tra brani testimoni della cultura terrestre e risonanze spaziali. Ascoltando in generale le atmosfere del disco, infatti, si può dire che il tema portante sia l’intreccio di diversità, anche se Bollani gioca sul senso di alterità ostile, semplicemente perché differente e inconsueta. 

La prima traccia è appunto Alleanza, ma, a dispetto del titolo, l’aria è gradualmente minacciosa, con Bollani che si affida a un arpeggio fatto di grappoli di note frenetiche. Certo non arriva a richiamare alla mente gli extraterresti di Alien (sì, proprio quelli che ti escono dalla pancia in maniera schifosa e letale), ma la frenesia, unita a un timbro liquido d’“astronave”, crea un inizio non del tutto rassicurante.
Le canzoni cantate del disco meritano un’attenzione particolare, soprattutto Microchip e Arrivano gli alieni. L’idea della prima muove dal pensiero che il controllo delle persone e degli adolescenti in futuro sia garantito da un microchip sottopelle; così, con voce da istrione napoletano in stile Carosone, si dipana la melodia a un tempo comica e raggelante della voce.

Se Microchip serve benissimo a spiegare il senso di paura che è alla base del rapporto con gli alieni, la traccia che dà il titolo al disco invece descrive plasticamente il loro arrivo: un arrivo salvifico, non minaccioso. L’alieno è semplicemente qualcosa al di fuori di noi, del nostro punto di vista, della nostra cultura. Il problema è che troppo spesso viviamo ciò che viene dall’esterno come una minaccia, non come un arricchimento e in tempi di Isis e idea ostile dell’Islam tutto diventa esponenziale, cosicché i contenuti del disco sembrano toccare davvero un tema ciclico e senza tempo.
Sia chiaro però, la cosa che più colpisce è che da ogni brano viene fuori in modo scintillante l’idea di fondo che lo abita e il virtuosismo esclusivo del suo autore. In fin dei conti perciò, tra timbri liquidi e metallici, extraterrestri buoni e cattivi, cadenze sudamericane e melodie conosciute, ironie e pianoforte, si può ben dire che il vero alieno è proprio lui, Stefano Bollani. Chapeau.

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