Genitori-padre e figlia

Quante condanne dovrà ancora subire l’Italia perché il sordo legislatore e la magistratura monogenitoriale (quella che ha inventato il “genitore collocatario”, il padre a scartamento ridotto “a w.e. alternati” e non ridotto quanto al mantenimento, la casa affidata sempre alla madre) comprendano appieno che in questo Paese medievale oramai la luce filtra senza sosta dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo? Un Paese incivile il nostro, in cui i diritti fondamentali, tra cui il diritto alla genitorialità (coperto costituzionalmente dagli artt. 2, 29 e 30 Cost.) vengono calpestati sistematicamente. Peggio, come dimostra questa ennesima condanna: irrisi, ignorati, in balia di soggetti che andrebbero radiati ed esposti alla gogna.

I fatti. Qualche giorno fa, il 17 novembre 2015 la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) nell’affaire Bondavalli c. Italie (Requête no 35532/12) ha accertato la violazione dell’art. 8 della Convenzione che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare. I giudici di Strasburgo hanno pure dato indicazioni precise per la tutela effettiva della relazione padre-figlio.

Nella specie al signor Bondavalli, – padre non collocatario, secondo il consueto malvezzo italiano (il pater noster è inadeguato a prescindere) – è stato sistematicamente negato il c.d. diritto di visita (di fatto il tandem rapporto genitoriale e bigenitoriale) a causa delle relazioni negative redatte dai servizi sociali, putacaso legati da un rapporto di colleganza con la madre (psichiatra) del bambino. Nonostante il padre avesse pervicacemente prodotto molteplici perizie che dimostravano l’infondatezza di quanto scritto nelle relazioni dei servizi sociali, l’autorità giudiziaria aveva sordamente continuato ad affidare a quegli stessi servizi sociali il compito di seguire la relazione padre-figlio. Quando si dice, armare la mano dell’assassino. Le vittime son due: al padre è stato negato per anni di esercitare il più sacro e il più straordinario dei diritti; al figlio è stato negato il rapporto sereno ed equilibrato col padre. Anzi è stato proprio negato il rapporto. Vulnus che nel suo sviluppo evolutivo lascerà segni pesanti.

Non stiamo discutendo di pinzillacchere ma del futuro assetto della nostra società civile, il cui equilibrio dipende dallo sviluppo normale da crisalidi a farfalle.

Nella specie, i giudici di Strasburgo hanno ritenuto che le nostre autorità giudiziarie non abbiano adottato misure idonee a tutelare i diritti del padre, evidenziando come il trascorrere del tempo possa avere conseguenze irrimediabili sulla relazione padre-figlio, sollecitando le autorità nazionali ad intervenire tempestivamente per riesaminare il “diritto di visita” del ricorrente in virtù dell’interesse superiore del minore.

Il calvario del signor Bondavalli inizia alla nascita del figlio, nel 2004. Nel 2005 i genitori decisero di separarsi e nel 2006 lo stesso si rivolse al Tribunale per i minorenni di Bologna per ottenere l’affidamento condiviso del figlio. Il Tribunale riconobbe il classico “diritto del carcerato” (diritto di visita pari a due pomeriggi alla settimana e per alcuni w.e.). La Corte di Appello di Bologna confermò il decreto. Nel 2009, il Bondavalli informò i servizi sociali sui sospetti di maltrattamenti sul bambino da parte della madre, producendo certificazione medica che attestavano graffi sul corpo del figlio. La risposta grottesca fu che i servizi sociali (incaricati al Tribunale di seguire la relazione padre-figlio: perché?) comunicarono che a causa dello “stato di agitazione e stress del padre” (chissà perché!) decisero che la relazione padre-figlio potesse svolgersi esclusivamente attraverso incontri protetti, osservando che i maltrattamenti denunciati non fossero provati. Il padre passò dunque da carcerato semplice a carcerato di massima sicurezza.

Successivamente la nominata consulente d’ufficio concluse per l’esistenza in capo al padre di un “disturbo delirante di tipo paranoico”, sottolineando che questi era convinto che il bambino fosse maltrattato. Il padre contestò la relazione, denunciando il rapporto professionale tra la psichiatra consulente d’ufficio e la madre del figlio. Denunciò anche la parzialità degli assistenti sociali incaricati, avendo questi putacaso un rapporto di colleganza con la madre, psichiatra presso la medesima struttura amministrativa.

Inoltre il Bondavalli produsse diverse perizie medico-legali le cui conclusioni negavano la presenza di patologie o disturbi della personalità e inoltre evidenziavano come i servizi sociali non avessero adottato alcun provvedimento volto ad instaurare un’autentica relazione padre-figlio, favorendo solo la madre.

L’Autorità giudiziaria rimane muta. Solo dal marzo 2015 il signor Bondavalli riprende a incontrare il figlio qualche ora e può chiamarlo una volta alla settimana.

Il padre supercarcerato presenta finalmente ricorso alla CEDU, nel 2012, ottenendo giustizia il 17 novembre 2015, al pari di una vicenda analoga (Piazzi c. Italia, ricorso n. 36168/09, 2 novembre 2010). La CEDU rileva che le giurisdizioni interne non hanno adottato alcuna misura idonea per creare le condizioni necessarie al mantenimento della relazione tra il padre ed il figlio, senza osservare la diligenza necessaria.

Un caso, tra i tanti, di alienazione genitoriale (il padre è stato alienato) ben orchestrato dal sistema superficiale, mediocre e monogenitoriale italiano. L’ennesima vergogna.

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