L’obiettivo ogni mese era sempre lo stesso: collezionare almeno 39 gettoni di presenza alle assise del consiglio comunale di Messina. “Le devo raggiungere le 40 presenze, perché io voglio il coso, l’indennità”, è uno dei tanti passaggi contenuti dalle intercettazioni della Digos, che stamattina ha chiuso le indagini per dodici consiglieri comunali messinesi, accusati di truffa aggravata, falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atti pubblici e abuso d’ufficio. Un traguardo fondamentale quello dei gettoni, perché permetteva ai consiglieri comunali peloritani d’incassare l’indennità massima pari a 2.184 euro al mese.

Io voglio questa cazzo d’indennità, a me di fare le commissioni non me ne fotte niente”, dice uno dei consiglieri coinvolti nell’indagine, mentre un collega risponde: “Non è la commissione perché nella commissione non fai un cazzo”. Solo che a Messina, ogni consigliere fa parte di 6 commissioni (in totale sono dieci), e raggiungere il tetto di 39 presenze in 30 giorni è un’impresa da far impallidire gli stakanovisti delle amministrazioni locali. “Io ci non riesco”, confessa uno degli eletti, intercettato. Ed è per questo che i consiglieri messinesi erano arrivati a studiare a tavolino un sistema perfetto per raggiungere l’ambitissima soglia, come hanno documentato le intercettazioni: “Quindi si sistema matematicamente la seduta: il capogruppo non ci va, va lui, va l’altro così tutti riescono bene o male ad arrivare (al limite massimo di presenze alle commissioni ndr)”.

Era questo quello che succedeva a Palazzo Zanca: c’era chi firmava per i colleghi assenti, chi dichiarava falsamente l’esistenza del numero legale, in modo da approvare i verbali della seduta precedente, chi arrivava metteva la firma sul registro delle presenze e pochi secondi dopo andava via. Tutto pur di portare a casa l’indennità massima: e poco importa se alla fine le commissioni non producevano quasi nulla. Non potevano farlo per il semplice fatto che servivano solo a collezionare indennità per i consiglieri.

Era così che funzionava la Gettonopoli di Messina, capace di bruciare ogni anno 900mila euro di rimborsi ai consiglieri comunali, oggi coinvolti nell’inchiesta della Digos. Per loro il gip di Messina Maria Militello ha previsto una misura più unica che rara: niente più registro delle presenze autogestito, dovranno invece firmare nell’ufficio dei vigili urbani, all’interno del municipio, sia all’inizio che alla fine di ogni assise del consiglio comunale. Si tratta del primo provvedimento della magistratura emesso nell’ambito delle indagini sulle cosiddette Gettonopoli siciliane: un fenomeno che ha trasformato i principali consigli comunali dell’isola in una fabbrica di indennità. I dodici consiglieri comunali messinesi obbligati a firmare davanti ai vigili urbani appartengono a quasi tutti i partiti: si va dai Pd Paolo David, Benedetto Vaccarino e Nicola Cucinotta, all’Udc Carmela David, alla forzista Giovanna Crifò, a Ncd e Udc con Nicola Crisafi e Carmela David, fino ad Angelo Burrascano che fa parte del Megafono di Rosario Crocetta, più Carlo Abbate, Pietro Adamo, Santi Zuccherello, Pio Amodeo e Fabrizio Sottile che invece fanno parte di alcune liste civiche. Altri dieci consiglieri rimangono indagati: si tratta di Elvira Amata e Nino Carreri (Democratici e Riformisti), Andrea Consolo (Udc), Pippo De Leo (Megafono), Nino Interdonato (Pd), Nina Lo Presti (gruppo Misto), Francesco Pagano (Lista civica), Giuseppe Santalco (Lista Civica), Santi Sorrenti e Pippo Trischitta (Forza Italia).

La Gettonopoli di Messina comincia nel 2013, quando sono indette le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale: ogni consigliere può collezionare al massimo 24 gettoni di presenza al mese. Sempre nel 2013, però, l’ammontare del gettone viene quasi dimezzato: si passa da 100 euro a 56 euro per ogni seduta. I consiglieri quindi avrebbero potuto guadagnare un massimo di 1.529 euro al mese. Poco male però: perché nel dicembre del 2013 il consiglio comunale aumenta il limite dell’indennità a 2.184 euro, con un tetto massimo di presenze fissate in 39 gettoni. Da quel momento, documenta la Digos, gli amministratori peloritani non si perdono un attimo della vita politica comunale. Almeno secondo i verbali: in realtà secondo gli investigatori i registri delle commissioni sono taroccati. E spesso i consiglieri compaiono in commissione il tempo necessario per fare scattare il gettone.

Come documentato dalle intercettazioni video, c’è chi riesce a battere ogni record, comparendo in commissione per appena venti secondi: il tempo per firmare l’entrata e l’uscita. Ma non solo. Perché a guadagnarci con le commissioni non sono solo i consiglieri comunali, ma anche i datori di lavoro dei fortunati che sono riusciti a farsi eleggere. Secondo la legge, infatti, l’azienda privata che ha tra i dipendenti un eletto in consiglio comunale, può farsi rimborsare la giornata lavorativa del consigliere, quando quest’ultimo è assente per motivi istituzionali. Ovviamente nella città sullo Stretto i rimborsi per i datori di lavoro dei consiglieri non si contano più.

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