Secondo le statistiche divulgate dall’Onu, sarebbero circa 27 milioni le persone in schiavitù. Per un fatturato medio di 32 miliardi di dollari annui, di cui circa il 70% legato alla prostituzione minorile; il “sex tourism” rappresenta la punta dell’iceberg, legalizzato a Panama, nel Nevada (Las Vegas) e sdoganato negli ultimi anni a Cuba presso gli alberghi del regime. Cuba, malaffare di Stato. Per rimanere nel continente americano, circa 300.000 le minorenni vendute come schiave del sesso nei soli Stati Uniti. Un business annuo di 50.000 anime, donne e bambine. Si comincia a 13 anni di media. A Panama City, operano circa 2.500 prostitute. Serbatoio ideale per gli Usa e Panama, sono la parte più povera dell’America Latina, soprattutto Bolivia, Colombia, Paraguay e Perù. Il Brasile è un caso a parte; esporta e importa bellezze locali e regionali in egual misura. Il mercato interno è bisognoso di continuo ricambio.
Non solo sesso
“Benvenuti a Padre Paraìso; le leggi danno fastidio, ma qui non abbiamo di questi problemi”. Il suo ultimo post; il blogger Evany Metzker fu ritrovato a maggio privo di testa nel comune più povero dello Stato Minas Gerais. La sua inchiesta sulle baby-squillo scavava tra le connivenze di politici e poliziotti locali con i trafficanti. Casi del genere sono frequenti; dal 2011 a oggi, assassinati in Brasile 16 giornalisti.
L’inter-scambio sessuale con Paraguay è particolarmente attivo ai confini; a livello export la priorità è verso Italia e Spagna, soprattutto transessuali di Sao Paulo. Sesso a parte, è il trabalho escravo, il lavoro in schiavitù, la fonte alternativa; le metropoli brasiliane attingono dalla Bolivia e dal Perù, per fornire le fabbriche tessili e i cantieri con manodopera a costo minimo e senza limite di orario. Adozioni illegali e traffico d’organi seguono a ruota. La Bolivia con Morales ha fatto molti progressi nella lotta a entrambi i traffici, con inasprimento delle pene che partono da un minimo di 12 anni, e l’apertura di centri di accoglienza per vittime di tratte sessuali e lavoro nero a La Paz e Santa Cruz. Ciononostante, il traffico di esseri umani verso Brasile, Cile e Stati Uniti è consistente, e il Paese ancora allo stadio 2 per questo settore. Il lavoro minorile, concentrato soprattutto a livello domestico nelle comunità indigene, il cui stato d’indigenza è tuttora elevato.
Schiavitù domestica nei Caraibi
Nel continente, la sfortuna parla francese, anzi creolo-francese, il patois di Haiti. Falcidiata dalla sanguinaria dittatura dei Duvalier padre e figlio, le cui bande di tagliagole, Tonton Macoute, massacrarono circa 60.000 haitiani, (Papa Doc dal 1958, e Baby Doc successivamente fino al 1986).
la nazione ha subito il colpo di grazia, prima nel 2010, con l’apocalittico terremoto che sterminò 150.000 persone, e poi l’epidemia di colera del 2013, che ne uccise quasi 10.000. I frutti avvelenati di queste catastrofi, partoriti dalla miseria conseguente, sono i restaveks, patois per “rester avec” stare con. Bambini venduti, dalle famiglie che non ce la fanno, agli haitiani più facoltosi. Utilizzati come schiavi domestici, non hanno accesso alla scuola, e devono sottostare a violenze e abusi sessuali. Molti senza neanche un letto. 300.000 di questi moderni cenerentoli, su una popolazione di 11 milioni. Un fenomeno ben radicato nella cultura del paese.
Non va molto meglio in Giamaica, malgrado quest’ultima sia baciata dalla sorte di avere un turismo florido, risorse minerarie nel sottosuolo, e investimenti internazionali. Eppure lo stato di trascuratezza in cui versano le aree rurali e i ghetti della capitale Kingston, porta a un’emigrazione di massa verso le zone turistiche, dove prostituzione e traffico di droga, rimangono le attività di punta. Anche il lavoro minorile, con destino Usa o Canada, fa parte del business. Pseudo-agenzie di collocamento locali, i sensali preposti a tal fine. Negli ultimi anni, la piaga dei missing children (sparizioni di bambini) è peggiorata. I casi di morte violenta rimangono insoluti.
Ps. Il bambino della foto è stato ritrovato; malconcio ma vivo. Dopo oltre un mese dalla sua scomparsa.
Conclusioni
I misfatti americani, non devono farci dimenticare i soprusi di casa nostra; le filiere di Prato, con legioni di cinesi ammassati dentro bilocali privi di sicurezza. Il rogo del 2013, dove perirono in tanti, rimane simbolo di tale orrore. I raccoglitori di frutta del Sud Italia, schiavi stagionali del capolarato di laggiù. Questi negrieri del Nuovo Millenio continuano ad operare indisturbati. La Guardia di Finanza ha dichiarato che solo a Prato, ammontano a 25 miliardi circa i fatturati in nero dell’indotto criminale. Fanno parte anche questi del fattore di crescita invocato ai fini della ripresa economica? Attendiamo risposta