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Fa un certo effetto sentire le scontate reazioni di chi, come il primo ministro francese Valls, depreca scandalizzato la “violenza” cui avrebbero fatto ricorso quelle centinaia di lavoratori dell’Air France che hanno strattonato un paio di manager elegantemente vestiti e profumatamente pagati, per protestare contro “soluzioni” della loro vicenda aziendale che non tengono per nulla conto dei loro diritti e interessi. Certo quei manager ci hanno rimesso una parte infinitesimale del loro elegante guardaroba, che non mancheranno di sostituire adeguatamente attingendo alle loro sostanziose prebende. Ma quanto più disumana e deprecabile è la violenza del sistema che priva del lavoro e del sostentamento intere famiglie? Come affermato dalla Federazione sindacale mondiale, “alcuni pretendono di accusarli di “violenza”, ma è la direzione di Air France che è l’unica responsabile di questo conflitto, esercitando una violenza sociale senza precedenti contro i lavoratori e le loro famiglie, con il brutale annuncio di 2.900 licenziamenti, ponendo così i dipendenti di Air France in stato di legittima difesa sociale!”.

Non è quindi Valls ad avere diritto ad essere indignato. Lui si limita a svolgere il proprio ruolo di cane da guardia degli interessi delle classi dominanti, privo, in quanto tale, di sentimenti o stati d’animo di qualsivoglia rilevanza. Chi ha diritto ad essere indignato è invece, e la faccenda trascende ampliamente i limiti di questa o quella azienda, colui che viene licenziato, esodato, che resta disoccupato, come gran parte dei giovani in tutta Europa, con punte massime in Paesi come il nostro, in Spagna, in Grecia.

Varie sono le ragioni di crisi della società europea. Qui vorrei limitarmi a evidenziarne due, drammaticamente attuali anche e soprattutto nel nostro Paese. In primo luogo la deprecabile tendenza ad applicare sempre e comunque in modo meccanico e compulsivo le ricette disegnate dai padroni dell’economia a esclusiva tutela dei loro interessi, che quasi mai coincidono con quelli della società nel suo complesso. In questo Matteo Renzi è maestro, come si vede dalle sue proposte in tutti i campi, ma particolarmente in quelli del lavoro (dall’abolizione dell’art. 18 a quella dei contratti recentemente chiesta all’unisono con Squinzi a quella del diritto di sciopero), alla scuola, alla sanità “riformate” secondo i desiderata della Confindustria, alle privatizzazioni in genere e alle opere pubbliche finalizzate prioritariamente agli interessi del potere economico.

In secondo luogo, la mancanza degli anticorpi rappresentati, per tutto un periodo, dalla capacità di lavoratori e lavoratrici di far sentire la propria voce, venendo a costituire un contrappeso significativo ai detti interessi, una sorta di cintura o meccanismo di sicurezza rispetto alla deriva cui l’accoglimento di dette linee padronali sta sottoponendo la società nel suo complesso. Indeboliti e infiacchiti da scelte politiche e sindacali di resa e svendita, disuniti, colpiti nel profondo della loro intelligenza e della loro dignità dalla propaganda martellante dei media, ridotti ad atomi individualizzati privi di forza e identità collettiva, i lavoratori italiani soffrono in silenzio. Ma questo loro silenzio si ripercuote negativamente sull’insieme della situazione.

Illusorio peraltro sperare che ci possa essere una ripresa, anche solo di tipo economico, per non parlare del sociale, del politico e del culturale, senza un rinnovato protagonismo di chi, oggi bistrattato e umiliato da qualche privilegiato strafottente elegantemente vestito che si arroga la prerogativa di decidere il destino comune e quello altrui, manda avanti la baracca con il suo sforzo quotidiano. E’ bene che questo soggetto, che chiameremo, nello sprezzo delle vili mode correnti, “classe lavoratrice” riprenda il suo ruolo, la sua fiducia in se stesso, il suo orgoglio e la sua dignità.

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