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Scuola: il mio primo giorno

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sos scuola 675Non ricordo nulla del mio primo giorno di scuola da alunno ma ho ben presente il mio primo giorno da maestro, compreso un piccolo incidente nel parcheggio davanti agli occhi sgranati dei genitori.

Erano anni che non entravo in un’aula della primaria se non per votare, non avevo mai incontrato una classe intera di ragazzini e neanche una “classe” di genitori. Quel giorno feci un giuramento: i bambini saranno i miei unici datori di lavoro. Questa promessa la rinnovo ogni anno quando a settembre suona la prima campanella. Tutti noi ricordiamo la nostra maestra o il nostro insegnante delle elementari. Abbiamo ben in testa l’inflessione della sua voce; il tono cantilenante durante le spiegazioni delle prime lettere dell’alfabeto; le mani che si appoggiano al quaderno a quadretti per dare un suggerimento; lo sguardo accogliente che dedicava a ciascuno; la sua camminata in aula.

Una memoria viva che serve a non dimenticare quanto quell’istante della vita, quel primo giorno di scuola, possa cambiare la vita dei ragazzi. E’ un nuovo taglio ombelicale. Da oggi iniziano una nuova vita. I più piccoli dovranno farcela da soli, dovranno imparare l’alfabeto dei rapporti, camminare sulle proprie gambe, conoscere l’errore, smettere di sognare cosa faranno da grandi ma iniziare a essere grandi. Lì con loro ci siamo solo noi, gli insegnanti.

Stamattina rinnovo quel giuramento. Oggi porterò a scuola un fiore e un crocefisso, quello fatto dal falegname di Lampedusa con i barconi dei migranti che vengono ripescati in mare. Sarà il mio modo di sentirmi a casa in aula. Chiederò anche ai miei ragazzi di portare un oggetto che li aiuti a far diventare la nostra classe un luogo che amiamo, bello, accogliente.

Prometterò ai miei alunni che impareremo storia, geografia, scienze, informatica divertendoci perché amo una scuola dove si impara felici di essere in classe.

Sarà la mia risposta ad una statistica: secondo un focus Pisa gli studenti italiani sono al 54esimo posto per grado di felicità a scuola. Dopo di noi ci sono solo Qatar, Grecia, Russia, Polonia, Lettonia, Finlandia, Estonia, Slovenia, Repubblica Ceca e Corea.

Non mi siederò sulla cattedra ma starò tra i banchi, tra i ragazzi, come mi ha insegnato il maestro Mario Lodi. Parlerò un po’ meno io, per ascoltare loro. Penseremo insieme a quale scuola vogliamo fare perché la democrazia nasce in aula, perché il sapere è seminare curiosità non riempire di nozioni.

Non racconterò loro questi verbi che provano a rapire la nostra passione: verificare, valutare, monitorare, verbalizzare, fotocopiare, firmare, vidimare, controllare. Non parlerò a loro nemmeno di questi acronimi: Pai, Pei, Pep, Pof Mof, Bes, Dsa (per fortuna al sostantivo “Maestro” – “Prof” non hanno ancora trovato un acronimo). Cercherò di coniugare un solo verbo: stupire!

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