Vincenzo Consoli ha lasciato pochi giorni fa la direzione generale di Veneto Banca e l’eco della sua lettera di dimissioni non si è ancora spenta. Una lettera “ordinaria” se fosse di un banchiere che dopo anni di onorato servizio lascia il timone del suo istituto, ma che ordinaria non è perché a scriverla è un soggetto indagato per ostacolo all’attività di vigilanza, sulla cui gestione pesano come un macigno i falsi contabili denunciati in diversi esposti e rilevati dagli ispettori della Banca d’Italia il cui rapporto ha dato il via alle indagini della Procura di Roma, tutt’ora in corso.

Consoli rivendica il risultato di aver portato l’istituto di Montebelluna a raggiungere “dimensioni europee”, sorvolando completamente sul come questo risultato sia stato raggiunto. E non fa cenno al perché e al per come si siano rese necessarie nel solo 2014 svalutazioni prudenziali e accantonamenti per 1,45 miliardi, un aumento di capitale da 450 milioni e la conversione forzata in azioni di un prestito obbligazionario da 350 milioni. Tutto questo non è certo stato solo l’effetto “della peggior crisi che l’Italia abbia conosciuto da quasi un secolo”, ma anche e soprattutto il risultato di politiche di bilancio tese a dissimulare il reale grado di esigibilità dei crediti, classificando come “normali incagli” posizioni che invece avrebbero dovuto essere classificate come vere e proprie “sofferenze”.

Una prassi, questa, diffusa da anni in tutto il gruppo Veneto Banca come dimostrano anche le operazioni sui crediti non performing, sistematicamente acquisiti dalla capogruppo per evitare di mostrare perdite nei bilanci delle controllate. E’ accaduto ad esempio nel 2011, quando la società di factoring del gruppo si è ritrovata con 20 milioni di crediti inesigibili a causa dell’operato di alcuni manager “infedeli” e, sempre nel 2011, quando Veneto Banca ha deciso di fondere nella Banca Italo Rumena la società di leasing, cui gran parte dei crediti risultava inesigibile essendo stati erogati in euro a imprese i cui incassi erano denominati in valuta locale. L’operazione venne giustificata all’assemblea degli azionisti come sinergica e volta a risparmiare sulle spese amministrative, quando in realtà l’obiettivo era un altro.

La capogruppo ha sistematicamente acquisito crediti non esigibili dalle controllate per evitare che registrassero perdite

E’ il passato, si dirà. Il problema è che non essendo cambiati obiettivi e prassi il passato “non passa”, anche perché a Consoli – costretto a lasciare la carica di amministratore delegato nel 2014 – è stato incredibilmente consentito di continuare a svolgere il ruolo di dominus della banca da direttore generale. Prova ne è la gestione della “crisi” di Eximbank, l’istituto bancario moldavo controllato dal gruppo veneto. Già nel 2013 si erano evidenziate diverse criticità e la banca aveva chiuso l’esercizio con una perdita netta di oltre 16 milioni di euro. Nel 2014, a marzo, Veneto Banca ha proceduto ad aumentare il capitale di Eximbank con un esborso di 13,5 milioni di euro e a ottobre già si poneva un nuovo problema: fino a quel momento Eximbank aveva potuto classificare i crediti con una certa flessibilità, ma la banca centrale moldava ha disposto nuove e più restrittive regole che avrebbero prodotto un impatto significativo sulla banca controllata. A illustrare la situazione è lo stesso Consoli, invitato a partecipare al consiglio d’amministrazione del 20 ottobre 2014 dal presidente Francesco Favotto. Al sesto punto all’ordine del giorno c’è la questione Eximbank e Consoli spiega che le nuove regole prevedono accantonamenti che vanno dal 2% per i crediti standard fino al 100% per quelli in sofferenza e che la Banca Nazionale Moldava considera tali accantonamenti ai fini del calcolo del patrimonio di vigilanza.

Fino al 31 agosto 2014 la situazione patrimoniale di Eximbank risultava regolare, ma poi è emerso che alcune posizioni “che già evidenziavano ritardi nel regolare rientro” e “prossimamente dovranno essere riclassificate sulla base della nuova normativa”, come scritto nel verbale della seduta del consiglio d’amministrazione. L’effetto è presto detto: la riclassificazione sulla base delle nuove, più stringenti, regole avrebbe comportato una riduzione del patrimonio di vigilanza e il mancato rispetto degli indici “sul principio di liquidità, sull’incidenza della prima posizione per quanto riguarda il lending limit e sull’incidenza delle attività materiali a lungo termine (immobilizzazioni in primis) sul patrimonio regolamentare”.

Per consentire il rispetto dei coefficienti patrimoniali, per Eximbank si sarebbe reso necessario un ulteriore aumento di capitale da 20 milioni di euro circa, oltre a quello da 13,5 milioni già effettuato ad aprile. Ma nessuno ha mai davvero prospettato al consiglio di Veneto Banca un nuovo aumento di capitale della banca moldava perché la soluzione era già pronta sul tavolo: “Il direttore generale informa che in alternativa – si legge nel verbale del consiglio – si potrebbe trasferire parte dei crediti che genereranno le ulteriori necessità patrimoniali presso la capogruppo Veneto Banca”. Un aumento di capitale di Eximbank avrebbe avuto infatti l’effetto di aumentare la liquidità immobilizzata in Moldavia e di aumentare il rischio di cambio a livello di gruppo, mentre l’acquisto dei crediti non avrebbe avuto alcun impatto dal punto di vista dei coefficienti patrimoniali consolidati e un effetto fiscale sostanzialmente irrilevante.

I creditori di Eximbank sono ditte moldave, alcune delle quali gravate da sospetti di riciclaggio

Così il 20 ottobre 2014 il consiglio d’amministrazione di Veneto Banca delibera l’acquisto di un pacchetto di crediti “non performing” per un valore complessivo di 35,1 milioni di euro con un esborso in contanti di poco più di 24 milioni, essendo 10,8 milioni compensati dal cosiddetto “cash collateral” depositato da Veneto Banca su queste posizioni. L’acquisto di non performing loans da parte della capogruppo è un’operazione certamente legittima, forse lo è meno giustificarla a bilancio nel seguente modo: “Cessione di alcune posizioni non performing alla capogruppo (circa 35 milioni netti) per una più efficiente gestione del credito deteriorato”. Stiamo parlando naturalmente del bilancio 2014, quello con cui Veneto Banca dichiara di aver fatto “pulizia” nei conti e che, per quanto riguarda la controllata moldava Eximbank, si chiude con una perdita netta di quasi 12 milioni di euro e una svalutazione della partecipazione in seguito all’impairment test di 22,9 milioni.

Veneto Banca, interpellata sul pacchetto di crediti acquisiti da Eximbank, nega che vi siano società controllate o partecipate da imprenditori italiani e nega anche che tra quelle 17 posizioni vi siano società di comodo o scatole vuote. Tuttavia, alcune di quelle posizioni si trascinano da anni e sono frutto, nella migliore delle ipotesi, di incauti affidamenti operati prima del 2010, come ha confermato la stessa Veneto Banca spiegando che i responsabili (il direttore generale della controllata moldava e un funzionario) sono stati prontamente allontanati. Fatto sta che nell’elenco delle 17 aziende debitrici ne figurano diverse in bancarotta e resta da capire come da Montebelluna si possa effettuare una “più efficiente gestione del credito deteriorato” quando i creditori sono ditte moldave, alcune delle quali, peraltro, molto chiacchierate se non addirittura gravate da sospetti di riciclaggio.

Tornando alla lettera di Consoli, anche alla luce dei fatti appena esposti certi riferimenti non possono non inquietare. Come ad esempio quello al “gruppo di manager validissimi selezionati nel corso degli ultimi anni [che, ndr] saprà, assieme a voi, aprire per la nostra azienda nuovi capitoli di successo”. Nessuna delle pratiche denunciate negli esposti e nel rapporto degli ispettori della Banca d’Italia avrebbe potuto concretizzarsi per un così lungo periodo di tempo senza il consenso del management, soprattutto ai livelli più alti. Consoli ha scelto (e gli è stato permesso di scegliere) il momento in cui uscire, ma lascia un’eredità pesante anche in chiave di management del gruppo. E se pulizia nei conti è stata (forse) fatta, Veneto Banca è ancora molto indietro sulla strada della trasparenza, come dimostrano appunto le spiegazioni riportate a bilancio sull’acquisto dei crediti di Eximbank. Un problema, quello della trasparenza e di una certa disinvoltura nelle politiche di bilancio (per non dire delle pratiche contabili) che purtroppo accomuna gran parte del sistema bancario italiano e di cui sono responsabili in primis le autorità di controllo: Banca d’Italia e Consob.

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