Ci scusiamo per il disagio Gli Omini Associazione Teatrale Pistoiese (foto Gabriele Acerboni) (3)

Viaggiare non è veramente piacevole, si va incontro all’ignoto e l’ignoto è qualche volta sgradevole e sempre traumatico; però, fa bene” (Alberto Moravia)
“Viaggiare è essere infedeli. Siatelo senza rimorsi. Dimenticate i vostri amici per degli sconosciuti”. (Paul Morand)
“Le radici sono importanti, nella vita di un uomo, ma noi uomini abbiamo le gambe, non le radici, e le gambe sono fatte per andare altrove”. (Pino Cacucci)

C’è chi va e chi sta, c’è chi viaggia e chi resta. La stazione, a differenza dell’aeroporto dove non si sosta ma si aspetta soltanto una partenza, ha in sé la contraddizione del binario che si perde nell’orizzonte e quella staticità fatta di ferro arrugginito e pensiline per riparo che creano grotta. Come la vecchia Posta per i calessi affamati, stanchi e assetati. Un luogo di transito dove però, ecco la crepa che s’insinua, si può stare, rimanere, abitare, fermentare, brulicare. Un anfratto, una bolla dove tanti passano lasciandosi dietro profumi di dopobarba o sudore pungente, qualche abbaiata di cani al guinzaglio, i colori delle gonne che frusciano via di tacchi spediti, borse gonfie, oggetti smarriti, spiccioli perduti, mozziconi, sbattere di piccioni grigi.

“Ma il treno dei desideri, nei miei pensieri all’incontrario va” (“Azzurro”, Paolo Conte)

Dopo le innumerevoli “Tappa” a sondare un’Italia negata nelle cartine geografiche e nel discorso sociologico, esclusa dai demografi e compressa nell’enclave dialettica di “provincia”, Gli Omini (hanno un altro piglio dopo l’ingresso nella formazione di Giulia Zacchini, proviene dalla Scuola Holden, che ha dato un impulso di più ampio respiro alla poetica del gruppo toscano, chiaramente esploso ne “La Famiglia Campione”, prima vagamente chiuso nel regionalismo) hanno portato il loro modo d’operare tra le banchine in cemento spesso della stazione di Pistoia (sono gruppo residente all’interno delle attività dell’Associazione Teatrale Pistoiese, scelti, insieme ai Teatro Sotterraneo, con grande visione e acutezza dal presidente Rodolfo Sacchettini) raccogliendo le storie non di chi va ma di chi guarda gli altri andare, giorno dopo giorno, regionale dopo regionale, ritardo dopo ritardo.

“Il treno va scomparirà sulle sue ruote rotonde dietro alle nuvole bionde, io sono qua, rimango qua in questa ruggine densa”. (“Il treno”, Paolo Conte)

Ci scusiamo per il disagio Gli Omini Associazione Teatrale Pistoiese (foto Gabriele Acerboni) (1)

Ci scusiamo per il disagio” è il mantra che accompagna chi deve prendere un treno in Italia. Ed il ritardo in questo caso, in relazione a questa massa di uomini e donne che hanno “perso il proprio treno” nella vita, quel treno che non passerà più e li ha lasciati a piedi a chiedersi come sarebbe stato, nel rimpianto, nel dolore. Si racconta non tanto di treni o di stazioni, ma della variopinta fauna che abita, letteralmente, nella polvere di vie ferrate che si allontanano, di sbuffi di vagoni, di ammortizzatori unti di grasso, di facce ai finestrini, di baci e saluti, di sigarette bevute con un piede sotto ed uno sopra, di fazzoletti sventolati dal capotreno che indicano partenza, ritorno, andata, via.

“I sassi della stazione sono di ruggine nera. Sto sotto la pensilina dove sventola adagio una bandiera. Striscia al vento nudo sopra il fuoco, il fuoco violento dei prati”. (“Tu parlavi una lingua meravigliosa”, Roberto Roversi)

Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi e Luca Zacchini hanno fatto oltre centocinquanta interviste (ne è nata anche una mostra fotografica e un documentario video) per questa prima tappa di un progetto triennale corposo e strutturato che li vedrà il prossimo anno fare teatro sul treno che collega la “Porrettana” (titolo provvisorio d’assonanze sonore “Eccetto Piteccio”), prima dell’ultimo utopico step, nel ’17, di mettere in piedi un vero e proprio treno viaggiante (simile all’intuizione di qualche stagione fa dell’Ert con il tendone-chapiteau in piccoli comuni emiliani o alla barca a vela di Francesco Origo in Sardegna) portando spettacoli teatrali in stazioni fuori mano. Gli Omini sono cresciuti, hanno idee.

“E’ che là fuori c’è un treno di ferro con il cuore di calce, il soffio di acido e di veleno, una valanga d’amore contro un bicchiere d’aceto dopo l’ultimo bacio, prima del fischio del treno”(“Treno di ferro”, Ivano Fossati)

In un deposito di vecchi treni a formare un triangolo, che diventano quinte, fondali ma anche scene, quasi il terzo occhio di Dio (dal sapore “clericale” anche la “preghiera” iniziale in ginocchio e la voce fuori campo, quella metallica che annuncia appunto i ritardi in stazione, che in definitiva, provenendo da un megafono posto in alto, è quella del divino), i tre(no) (il personaggio della “Signora” di Francesca Sarteanesi è un vero portento che squassa) ci raccontano di barboni e controllori, di vecchi manovratori e di squallidi incontri nei bagni sudici, di rabbia mai sedata, anziani che sperano nella fine della giornata, le bestemmie. Quanto amore sprecato. “Allontanarsi dalla linea gialla” sembra dire La Voce a tutte queste facce che non lo prenderanno mai il treno per lasciarsi se stessi alle spalle. “La prima classe è in testa al treno”, ma tu non sei mai stato in testa.

“Vorrei un biglietto per un treno per dove non ci sia lo spazio per perderti di più (“Un treno per dove”, Claudio Baglioni)

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