Il mensile Wired scomparirà dalle edicole. La versione italiana della celebre rivista Usa, lanciata nel 2009 con Riccardo Luna alla direzione, in futuro si ridurrà a qualche numero monografico appaltato all’esterno. Dei 12 giornalisti attualmente in redazione, ne resteranno solo sei, a curare il sito wired.it e gli eventi. Altri sei colleghi hanno già accolto nelle settimane scorse gli incentivi all’esodo proposti dall’azienda. Niente più carta o quasi, solo web. La rivista, all’apparenza, resta vittima della rivoluzione tecnologica che in questi anni ha raccontato e spesso promosso. Anche se i giornalisti che l’hanno studiata e confezionata in questi sei anni (nella foto, il primo numero con Rita Levi Montalcini in copertina) non ci stanno e attaccano le scelte dell’azienda.

La comunicazione dei tagli, si legge in una nota sindacale appena pubblicata sul sito, è arrivata da Domenico Nocco, chief operating officer di Condé Nast Italia, editore di Wired, oltre che di Vanity Fair e Gq (che già viene confezionato, dal punto di vista grafico, da un service che sta in Germania). “La periodicità del cartaceo passerà da dieci numeri l’anno a due, da affidare completamente a service esterni”, scrivono i giornalisti di Wired. “Sei dei 12 giornalisti della redazione (il 50%) sono considerati esuberi”. E questo nonostante i recenti annunci pubblici dell’azienda. “Il digitale ci salverà, ma la carta non muore”, aveva dichiarato lo scorso 13 aprile al Corriere della Sera il deputy managing director di Condé Nast Italia, Fedele Usai. Basandosi sui dati aziendali, a maggio 2015 il mensile ha contato su una diffusione di 60mila copie, mentre Wired.it registra “5 milioni di utenti unici al mese di cui 500mila profilati”.

A quella di Riccardo Luna sono seguite diverse direzioni, da Carlo Antonelli a Massimo Russo, fino alla recente nomina di Federico Ferrazza. E appena due settimane fa, proprio presentando l’investitura di Ferrazza, l’azienda definiva Wired “un brand fondamentale, uno dei tre pilastri del futuro di Condé Nast Italia”, sottolinea il comunicato. Ma se il futuro è digitale, come preconizzava due decenni fa Nicholas Negroponte, uno dei fondatori di Wired in Usa, al momento sono in forza al sito soltanto due redattori più un part time.

L’assemblea dei giornalisti, continua la nota, esprime “forte preoccupazione per il futuro della testata e del brand stesso e si riserva di intraprendere tutte le azioni necessarie per salvaguardare il posto dei sei colleghi in mobilità e le condizioni di lavoro che garantiscano la qualità che ha sempre contraddistinto Wired”.

I conti di Condé Nast Italia, si fa notare nella redazione milanese, proprio  di fronte al castello Sforzesco, non giustificano il colpo di scure su un prodotto editoriale che “ha sempre incassato premi e riconoscimenti e marcato la differenza rispetto alle altre testate”, scrivono i redattori in una lettera al direttore Ferrazza, in cui chiedono risposte certe su organico e mansioni entro il 6 luglio. Dal bilancio consolidato emerge un margine operativo lordo di 9,1 milioni di euro nel 2014, in netta ripresa dall’anno precedente (5,8 milioni). Dai contratti di solidarietà l’azienda ha tratto un beneficio di 3,7 milioni in termini di risparmi sui salari e sgravi contributivi. Un anno fa i giornalisti erano 178, oggi sono 160. Nel 2013, inoltre, c’è stato un investimento da 4,5 milioni di euro per l’acquisizione dell’80% de La Cucina italiana srl, a cui si sono aggiunti altri 1,2 milioni di finanziamenti, fanno notare i giornalisti che ora vedono minacciato il loro posto di lavoro. Anche eventi come la Wired Next Fest di Milano, sottolinea la lettera inviata al direttore, sono stati considerati anche all’esterno “straordinari successi”.

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