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‘Una Biblioteca Nazionale dell’Inedito’? Allora perché non una Riserva Statale di Atlantide

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“Faremo la Biblioteca Nazionale dell’Inedito. Un luogo dove accogliere e conservare per sempre romanzi e racconti di italiani mai pubblicati”, ha annunciato ieri su Twitter il ministro per i Beni Culturali, Dario Franceschini. Bene, una buona idea. Un’idea curiosa se ci si riflette qualche minuto su. Una sorta di Biblioteca Nazionale dell’Ignoto, una Riserva Statale con sede ad Atlantide, una summa degli scritti nel cassetto dell’Isola che non c’è. Una fantasia, insomma. E si sa che per rimettere in piedi l’editoria italiana di fantasia ce ne vorrebbe eccome.

Gli ultimi dati sul mercato librario, diffusi nel corso del Salone del Libro di Torino, parlano di un settore in leggera ripresa nei primi mesi del 2015 rispetto allo stesso periodo dell’anno passato (gennaio-aprile), con un fatturato che fa segnare un “rassicurante” – 2,6 per cento (nel 2014 eravamo a meno 6). Segnali davvero incoraggianti se si pensa che a trainare l’economia sono solo i libri per bambini e ragazzi, oltre 2 copie sulle 10 vendute complessivamente nei canali trade (il 22% del totale, per la precisione). Ma il dato più spaventoso, l’ultimo rilevato risale al 2013, è quello relativo agli oltre 813mila titoli disponibili in commercio: un numero enorme che, sommando le singole tirature, corrisponde a circa 3 volumi per cittadino italiano. E ricordiamo che, statistiche alla mano, nel nostro Paese un cittadino su due ammette di non leggere nemmeno un libro l’anno.

Ora, pur apprezzando l’afflato del ministro nel voler ergere un altro bastione in difesa della lettura, viene da chiedersi se ci sia davvero bisogno di pubblicare indiscriminatamente, se “le storie più straordinarie intorno a noi”, come le chiama Franceschini, lì “dove c’è la letteratura più fantastica”, siano davvero utili strumenti di diffusione della cultura e/o di impulso all’editoria o, al contrario, l’ennesima operazione spot. Forse la risposta alla prima domanda è no, forse una selezione degli scritti ci vuole, anzi forse ce ne vorrebbe di più.

Con l’espansione del self publishing, la nascita di piattaforme che consentono di scaricare ebook gratuiti (www.gutenberg.org) ma anche la messa in onda di talent ad hoc per scovare scrittori esordienti (cosa che ha sdoganato in parte l’idea dell’autore-intellettuale-radical chic), la possibilità di vedere i propri manoscritti pubblicati è davvero concreta e di facile accesso. Certo, bisognerebbe rinunciare ad avere una piccola o grande casa editrice alle spalle, con tutta la macchina della distribuzione e promozione al seguito, ma nemmeno gli inediti del ministro ce l’avrebbero, non avrebbero neppure un editor che legga e selezioni (se operazione iper-democratica vuole essere, che iper-democratica sia), un redattore che lavori i testi e li consegni al pubblico in una forma gradevole e comprensibile.

Discorso a parte per gli inediti d’autore: se scovassimo uno scritto di Cesare Pavese in un cassetto della sua cascina di Santo Stefano Belbo non lo pubblicheremmo? Se, come successo con La piuma di Giorgio Faletti, l’autore lasciasse in eredità un’opera inedita, la sua casa editrice non la pubblicherebbe?

Sfugge, dunque, il fine ultimo dell’intuizione del Ministero, sfugge anche, più mestamente, come Franceschini immagini di realizzare il progetto: la Biblioteca Nazionale dell’Inedito sarà un luogo fisico? Un archivio digitale? Un servizio Creative Commons? E i diritti d’autore? Tutte curiosità che scopriremo vivendo. Un po’ meno leggendo. Gli italiani insegnano.

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