Il Girum Italicum del 2015 è iniziato sul serio a Treviso e si è concluso, ancor più seriamente, nella spumeggiante Valdobbiadene. Alberto Contador ha matato il torello Fabio Aru. In Prosecco veritas: nella tappa a cronometro delle bollicine, lo spagnolo ha ubriacato il Giro. La classifica generale è una sentenza, se non di morte, di pena fine mai. Contador si è ripreso la maglia rosa che una caduta collettiva gli aveva scippato ieri a Jesolo. Con gli interessi che nemmeno Ennio Doris, fondatore e amministratore delegato di Mediolanum, nonché appassionato pedalatore (ha presentato oggi in sala stampa il suo libro “Un Giro intorno a me”) si sognerebbe.

Ieri Aru stava davanti a El Cascadero – Il Cascatore – di 19 secondi. Adesso gli sta dietro di due minuti e 28 secondi. Il resto dell’intendenza segue a distacchi abissali. E domani, che è un altro giorno, via ma non col vento si arriva a Madonna di Campiglio. Per molti ex rivali di Contador, ci vorrebbe la madonna di Lourdes. La tappa è stata appannaggio del simpatico bielorusso Vasil Kiryienka, trentaquattro anni il prossimo 28 giugno, “uno con sedere furbo” ( testualmente: “hitrozhopyj”) si dice dalle sue parti, uno cioè che sa come cavarsela, che nel Giro del 2008 vinse la tappa della Presolana-Monte Pora, un astutillo del plotone di buon talento e molte qualità, tant’è che lo hanno voluto (e poi dismesso) molti squadroni, dalla Tinkoff alla Caisse d’Epargne, dalla Movistar all’attuale Team Sky di Richie Porte. Apriamo una penosa parentesi a proposito dello sfortunato tasmaniano. Ci sembra infatti avviato allo sprofondo: oggi 55esimo, a 4’20” dal suo lungo gregarione. Difficile immaginarlo protagonista delle prossime tappone alpine, a meno di miracolose resurrezioni. Molte, ciclistiche, avevano ragioni laicamente chimiche. Una, duemila e rotti anni fa (non abbiamo video su YouTube che lo testimonino, però) dicono sia stata di natura divina. Da queste parti non ci risultano significativi miracoli divini però fenomeni prodigiosi di vini, questi sì, ma sono un’altra irriverente storia.

Quanto all’amico etiope, francamente sono rimasto deluso. Mi aspettavo una prova d’orgoglio da parte del giovane Tsgabu Gebremaryam Grmay, quell’orgoglio alla Menelik che tanto fece tremare gli italiani alla fallita conquista dell’Africa Orientale, stigmatizzata dalla sconfitta di Adua. È il campione d’Africa della specialità contro il tempo. Ieri, il maltempo si è accanito contro di lui: non solo in senso climatico, ma in quello cronometrico. Nel ciclismo delle corse da soli, l’orologio è un giudice inflessibile. Tsgabu, infatti, ha accusato da Kiryienka un ritardo di dieci minuti e 9 secondi, il che gli è valsa la non esaltante 162esima posizione. L’ultimo, lo sloveno Luka Mezgec, è 179esimo. Non sono partiti il famoso ex grande campione Tom Boonen, il velocista André Greipel per il quale l’arrivo di Milano non valeva la fatica immonda del Mortirolo, di Cervinia e del Sestrieres, idem per Michael Matthews e Gregory Henderson (che aveva accusato Aru di doping). Ce ne faremo una ragione.
Ce ne faremo una ragione anche a proposito della controprestazione di Tsgabu. Forse sarà stata la pioggia battente (nella parola, il destino…) a frenarne le velleità. O forse, gli ordini di scuderia della Lampre: non spremerti, amico d’Abissinia, domani ci si arrampica fino a quota 1715: qui si parrà la tua nobilitate (siamo nei giorni dell’incerta nascita di Dante, scusate la citazione da 750esimo anniversario).

Chissà se stasera Tsgabu si consolerà con un calice di buon Prosecchino: potrebbe accogliere l’invito di Marzio Bruseghin della vicina Conegliano che ne produce 12mila bottiglie l’anno e ha un allevamento d’asini (sono 42), e magari ascoltarne i saggi consigli. Marzio è stato un brillante cronoman, bravo comunque su tutti i terreni, tanto da meritarsi un terzo posto al Giro del 2008, quando indossava la maglia della Lampre. Era il “Mulo” del plotone, e un grande affabulatore. Potrebbe consolare il giovane abissino dicendogli che oggi il buon Dio del Giro d’Italia ha fatto un dispetto a corridori e aficionados delle due ruote e del Prosecco. E aggiungere che pure Kiryienka apprezza il Prosecco, (del resto, nella sua lunga carriera ha avuto modo di correre anche con Bruseghin…).

Vedi, caro Tsgabu, la tappa costeggiava vigneti e cantine, sfiorava osterie e pergolati, una continua provocazione, un costante invito traditore ad abbandonare pedali e sellini ed inforcare i percorsi delle mescite; Bacco e pedale non sempre fan male, solo che sulle pregiate colline del Prosecco sono cadute sacrileghe valanghe d’acqua, un affronto per chi ama l’allegra doppiezza del vino, lucidità e delirio, e per coloro che apprezzano l’acqua soprattutto sotto la doccia.

Non so se Bruseghin conosce il filosofo Massimo Donà, docente all’università San Raffaele, autore di un pregevole saggio che s’intitola, appunto, “Filosofia del vino” (Bompiani). So invece che il Consorzio di tutela del Prosecco superiore di Conegliano e di Valdobbiadene gli ha chiesto di progettare un festival al posto della solita sagra, e lui ha pensato di partire dal prosecco per arrivare a Nietzsche. Titolo: “Al di qua e al di là del limite”. Il vino, sostiene Donà, è un alimento “tra i più carichi in assoluto di senso storico e simbolico”, il vino sollecita i limiti dell’uomo, perlustra l’esperienza sensibile del limite. Se vuoi sapere chi sei, devi conoscere i tuoi limiti. Oltre un certo limite, se bevi, c’è l’ebbrezza, e rischiamo di perderci, di confonderci, di smarrirci. In fondo, come chi corre in bici.

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