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No Expo: Milano due giorni dopo. Una lezione di civiltà

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Roberto Vecchioni non butta lì parole a caso. E quando ha incontrato le ventimila persone che pulivano i muri della loro città macchiati dai non definibili black bloc, ha raccontato del “giorno più commovente della sua vita”. Metaforicamente lo è. Forse Milano, vista da uno che sta lontano, ma la pratica, ha trovato quella modalità che non c’entra niente con l’Expo, un modo per risollevarsi, per dire ci siamo e non ci stiamo. Non era una manifestazione parallela a quel baraccone firmato dai Renzi & Farinetti e da tutte le persone che cercano una paternità per Expo. Milano ha pulito i muri della sua città e ha dimostrato quello che può essere: generosa, affidabile, rispettosa, incazzosa con la faccia mite. Un enorme conglomerato di eremiti, come diceva Eugenio Montale, che però lì hanno trovato una casa. E ieri hanno ripagato la loro generosità.

Metaforicamente si è chiusa un’epoca iniziata con Mani pulite e forse molto prima, proseguita col berlusconismo, con le smanie di Letizia Moratti e le manie di grandezza di Roberto Formigoni. Ma non è nemmeno ridurla a una bassezza politica che gli si rende ragione: la gente ha seguito Giuliano Pisapia, uno dei migliori sindaci degli ultimi trent’anni, ma non è stata questione di colore, se non quello da smacchiare sui muri. Non è destra né sinistra, è Milano, anche quella che non c’è più, dove per arrivare in fabbrica si partiva tre ore prima delle campanelle causa nebbia. La città che non ti sommerge di meraviglie, ma che può essere scoperta, un passo alla volta, tra il mondo che va sempre di fretta e la gente dal passo rapido anche se non hanno un luogo preciso dove andare. Forse non è nemmeno più quella della Vita Agra, capolavoro di un grande milanese di Grosseto, maremmano fino al midollo come Luciano Bianciardi. E’ rimasto qualcosa nei ricordi di quello che ci ha cantato Enzo Jannacci, ma oggi ci sono quelle cose per guardare avanti e non fermarsi all'”avvenire in fondo a un tram“, una delle poche certezze rimaste in una città che cambia. Il tram e un avvenire che non è fatto di nebbia, ma resta oscuro.

Una lezioni di civiltà, per dirla molto banalmente. Niente lacrime e black bloc da imputare, nessun Matteo Renzi tra i piedi né rigurgiti nostalgici di rivoluzione: solo rendere omaggio a quella città che non è dei milanesi, ma è diventata casa di tutti. Con il rispetto che le si deve.

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