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La lezione del 25 aprile: i partigiani chiamano i giovani di oggi all’impegno politico/ II

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Il 25 aprile Andrea Lannutti, sindaco di Gessopalena (un paese abruzzese che fu teatro di una strage nazista) ha invitato i giovani ad un impegno in politica. Faccio mio il suo auspicio e provo a motivarlo

Roma

Il discorso di Andrea Lannutti si conclude così: “Scegliamo la nostra responsabilità, il nostro impegno nel rendere questa Nazione migliore non per noi ma per i nostri figli. Scegliamo come scelsero allora i nostri partigiani”.

Negli anni Sessanta – per me quelli della università e dell’inizio della vita lavorativa – molti dei miei coetanei “facevano politica”, magari solo vendendo il giornale del proprio partito (per me era L’Avanti) nelle borgate. Questa larga partecipazione alla politica contribuiva a definire ed attuare i programmi dei partiti (ne sono retaggio le riforme economiche e sociali del primo centrosinistra negli anni Sessanta e le grandi conquiste nel campo dei diritti civili nel decennio successivo). La presenza nelle sezioni dei partiti di tanti giovani che non vedevano nella politica “un mestiere” per la vita ma solo una testimonianza di impegno era anche una barriera all’affermarsi di dirigenti disonesti, alla trasformazione della politica in affare e malaffare (dive sono oggi i severi “probiviri” di quegli anni?). Poi i giovani hanno cominciato ad allontanarsi dalla politica, che è diventata la realtà sconfortante che vediamo oggi a tutti i livelli, ma soprattutto in quegli enti locali che dovrebbero essere il primo punto di incontro fra i cittadini e il potere.

Ora che noi anziani siamo costretti a lasciare il campo, penso sia nostro dovere parlare con chiarezza e con forza ai giovani, a quelli che non trovano lavoro così come a quelli che invece hanno un lavoro sicuro e soddisfacente. Dobbiamo invitarli a chiedersi se il loro atteggiamento non sia anche una scelta di comodo. E a quanti fra loro ci dicono che la situazione del paese è troppo difficile per poter sperare di cambiare, dobbiamo ricordare le scelte che fecero all’epoca quei loro coetanei, per lo più poveri ed incolti, che si gettarono a combattere contro una realtà che era mille volte più dura e disperante di quella dei nostri giorni.

Vediamo se fra i lettori di queste mie note ci sono dei giovani e se hanno voglia di rispondermi e, magari, di offrirmi qualche ragione di speranza.

Ricordino quel che diceva Gramsci: “L’indifferenza è il peso morto della storia”.

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