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Tv, non è un Paese per fiction, Don Matteo è nel nostro Dna

Tv, non è un Paese per fiction, Don Matteo è nel nostro Dna
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Ma allora ce lo meritiamo Don Matteo. E forse ci meritiamo anche Il segreto, la telenovela spagnola vecchia di quattro anni che è il vero successo di stagione di Canale 5 (a parte le telenovele live di Maria De Filippi), e ancora giovedì sera ha sbaragliato ogni concorrenza. Curioso, dalla notte dei tempi si lamenta la modestia delle fiction di casa nostra, e più ancora la loro ipocrisia codina, il loro buonismo agiografico, la loro fuga a gambe levate di fronte alla storia recente. Eppure, quando finalmente va in onda una serie come 1992, una serie che rompe alla grande questo patto di omertà attraverso il racconto di Tangentopoli e della fine della prima Repubblica, che succede? Tutti dimenticano la trave nell’occhio e si mettono a cercare le pagliuzze. Sì, ma Di Pietro non era proprio così. Sì, ma Dell’Utri non leggeva mica von Clausewitz, e nemmeno Sun Tzu. Sì, ma il tale è troppo inespressivo. Sì, ma la talaltra non sa mica recitare. Sì, ma la sceneggiatura perde colpi… Sì, ma vuoi mettere le serie americane. Sì, ma era meglio Gomorra

Di che stiamo parlando? Qui c’è una sola cosa da dire: che 1992 per cinque settimane ha saputo mostrare, sullo sfondo di un intreccio solo apparentemente in primo piano, il circuito chiuso tra politica, affari, lobby, caste, illegalità e mezzi di comunicazione in cui tutti galleggiamo; e lo ha fatto in modo frontale, come nemmeno Gomorra e Romanzo criminale avevano osato, e come rare volte è accaduto anche nel nostro cinema. Un’autentica serie pilota, con qualche inevitabile imperfezione, ma un esperimento senza precedenti, uno schiaffo senza pari di Sky a Mediaset e soprattutto al servizio pubblico.

Invece, critiche tiepidine se non vere stroncature, indifferenza, distinguo, penose polemiche di frangia; sembra quasi che si rimpiangano i medici in famiglia, i peccati e le vergogne, la schiera infinita dei commissari, degli ispettori, dei preti e dei frati coraggio. Il sospetto è che sotto sotto li si rimpiangano davvero, ed è meglio non chiedersi perché. In fondo questa accoglienza conferma la tesi di fondo del racconto ideato da Stefano Accorsi. Il tema attorno a cui ruota 1992 è il cambiamento; ognuno dei personaggi di fantasia si illude di poter cambiare la propria vita, e l’Italia stessa sogna di poter rinascere dall’abisso scoperchiato dall’inchiesta della magistratura milanese. Ma poi, passata l’euforia, non ci sarà nessuna vera rigenerazione. Non per i personaggi, in cui vediamo prevalere il peggio di sé: davanti all’aspirante soubrette che decide di abortire pur di fare Domenica in don Matteo si suiciderebbe. E men che meno la resurrezione arriverà per l’Italia. “La Seconda repubblica? Si farà con gli scarti della Prima”, è la profezia del vecchio democristiano in disarmo. E l’unico, vero frutto di Mani pulite sarà la nascita di Forza Italia. La Repubblica delle banane si salverà, e il Paese dei gattopardi non sfuggirà alla sua immutabile natura, secondo cui il nuovo finisce sempre per far rimpiangere il vecchio.

Amara morale di un racconto di fantasia ambientato 23 anni fa; ma la cui attualità è sotto gli occhi di tutti. Voler rompere le regole in questo paese è sempre a proprio rischio e pericolo, perfino se parliamo di regole del racconto televisivo. Non è che moriremo democristiani, è che ci siamo nati. E allora, ce lo meritiamo, don Matteo.

il Fatto Quotidiano, 25 aprile 2015

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