Ho memoria dello sgombero tramite ruspa di un agglomerato residenziale rom. A Pavia nel settembre 2007. Famiglie in un attimo senza più nulla. Prima ancora di Salvini ci ha pensato l’allora sindaco DS Piera Capitelli, definita dai quotidiani (anche del suo partito) un sindaco-sceriffo. Di notte la prima cosa da fare era trovare un alloggio per le famiglie. Uomini, donne e bambini caricati a forza e in fretta su bus e camion. Residenti che si sdraiavano sulla strada dei possibili luoghi di destinazione fuori città.

Uomini donne e bambini costretti, dopo ore sui camion, a ritornare al punto di partenza. Ancora Pavia. Perché nessuno li voleva. 200 persone obbligate a trascorrere giorni al palazzetto dello sport locale prima di trovare una nuova sistemazione. Alcuni in altri campi, ospitati da parenti, altri in strutture della chiesa. In una di queste, a 25 chilometri dalla città (Pieve Porto Morone) i rom venivano appellati ‘bestie’ da chi pensava ingiusto assegnare loro le case della diocesi, anche temporaneamente, nel bel mezzo del verde. Per giorni i vari leader leghisti (Mario Borghezio) e di Forza Nuova (Roberto Fiore) facevano a gara per realizzare comizi davanti ai cancelli del centro diocesano. I rom ospitati erano in 48, ne rimasero in poco tempo 17 (di cui dieci bambini). Gli altri scappati.

Alcuni accettando i 1.300 euro offerti dalle istituzioni per tornare in Romania. La gran parte di loro, passato il confine, è rientrata in Italia. Quelli rimasti hanno vissuto imprigionati. Lancio notturno di mattoni e petardi contro le finestre e terrorizzati dal proprietario del campo confinante, con un fucile da caccia in mano. Gli adulti non potevano uscire per lavorare, i figli non potevano frequentare la scuola: eppure erano iscritti negli istituti di Pavia ma la scuola era lontana 25 chilometri. Le ruspe alimentano la discriminazione.

Lo sgombero del campo non ha risolto il problema abitativo e di convivenza tra una minoranza culturale e una maggioritaria. Se siamo tutti concordi nel dire che i campi non dovrebbero più esistere, occorre però dare delle risposte e soluzioni su come poter far coesistere culture differenti. A meno di pensare che la cultura maggioritaria sia anche superiore e quella minoritaria inferiore. Ma qui andremmo oltre al problema abitativo e si porrebbe un problema discriminatorio che non è consentito dalla legge. Si chiama razzismo, genera incubi ed elimina il diverso.

Dell’esperienza dello sgombero di Pavia, il ricordo più bello riguarda due ragazzi che sono stati accompagnati a scuola da un comitato sostenuto da Soleterre (che non gestisce campi Rom e non “guadagna” soldi attraverso l’aiuto di altri esseri umani).  Entrambi oggi sono diventati papà e mamma di due splendidi bambini. Hanno finito la scuola per panettieri e uno di loro ha trovato un lavoro a tempo indeterminato.

Salvini dovrebbe dirci che intende fare dopo avere raso al suolo i campi Rom con ruspa. A meno di non voler ripetere esperienze già dimostratesi inutili e non certo capaci di portare dai campi alla “normalizzazione” con regolare pagamento dell’IMU come lui vorrebbe. Soluzioni che invece sono arrivate partendo dal considerare gli abitanti del campo soggetti degli stessi diritti e doveri di tutti. Considerando anche che una buona fetta dei rom sono cittadini italiani.

Bene ha fatto a indignarsi la Presidente della Camera Laura Boldrini che ha replicato al numero uno del Carroccio definendo le sue esternazioni “inquietanti” così come il verbo “radere”. Occorrerebbe invece costruire relazioni che mettano al centro la dignità di ogni uomo e donna.

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