Beatrice Niccolai non è la nuova Alda Merini. Beatrice è Beatrice, e non è nuova, è antica come tutte le vere poetesse, è sempre esistita, è l’origine che si disvela. Nella poesia di Beatrice ci sono punture d’insetto, ruscelli celesti che dissetano l’ignoto, c’è la fragranza dell’inquietudine.

E ci sono gatti, bicchieri di vino rosso, bistecche alla brace, parole unte, ostie sconsacrate, letti arruffati, nella poesia di Beatrice c’è legna da ardere, ci sono boschi da depredare per fare l’amore e renderli ancora più verdi e ancora più oscuri.

Le sue parole sono funghi che si trovano solo tra i rovi, sono parole che fanno sanguinare e danno nutrimento, parole che restano sospese, e oscillano ai margini di un foglio bianco. Parole al vento, ma un vento che è radice e stupore.
La vita fra le parole. Niente altro che la vita. E che cosa si può chiedere di più a una poetessa?

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