Mentre l’attenzione del mondo è concentrata sul “nemico di oggi” – lo Stato islamico, dei cui orrori in Siria avevamo scritto in questo blog ben oltre un anno fa – il “nemico di ieri”, ossia il presidente Bashar al-Assad, può proseguire indisturbato nello schema, collaudato da quattro anni, di attacchi indiscriminati contro obiettivi civili e centri abitati, anche con armi vietate.

Il più recente risale a una settimana fa, nella zona di Idlib: un centinaio di persone intossicate e una famiglia intera sterminata dopo, che tra le 21.15 e le 23 di lunedì 16 marzo, elicotteri delle forze armate siriane hanno lanciato quattro barili bomba contenenti cloro sui villaggi di Sermine e Qmainass.

Siria, bombardamenti ad Aleppo

La famiglia Talab – Warf Mohamed, sua madre Ayoush Hassan Qaq, sua moglie Ala al-Jati e i tre piccoli Sara, A’isha e Mohamad – ha trovato una morte orribile.

Secondo un medico, le persone colpite non mostravano segni di ferite da esplosivo ma presentavano i tipici sintomi di un attacco con armi chimiche: occhi arrossati, difficoltà respiratorie, tosse continua, vomito e bava alla bocca.

Questa è la testimonianza di un soccorritore, raccolta da Amnesty International:

“L’odore era terribile. Abbiamo evacuato le persone ma ci hanno detto che c’era ancora una famiglia nel seminterrato. Siamo andati a cercarla. Ho respirato una prima volta e poi, alla seconda, ho sentito la gola e gli occhi bruciare. Non avevamo né maschere né tute. Cercavo di trattenere il respiro ma era impossibile proseguire oltre. Ho visto una donna sulle scale. Era cianotica e non respirava. L’abbiamo portata via. Poi sono arrivati gli altri con le maschere e hanno portato via la famiglia. Erano tutti morti”.

In un agghiacciante video, pubblicato da un attivista locale e girato in un ospedale poco dopo l’attacco, si vede un bambino agonizzante su un tavolo, mentre i corpi degli altri due piccoli Talab vengono portati in una stanza e deposti sul corpo della madre.

Pochi giorni fa, un nuovo rapporto di Amnesty International ha fatto luce su una serie di attacchi aerei, condotti dall’aviazione siriana contro la capitale del “califfato”, al-Raqqa, dall’11 al 29 novembre 2014. Risultato: almeno 115 civili uccisi, tra cui 14 bambini. Alcuni degli attacchi, per la natura degli obiettivi colpiti (una moschea, un mercato affollato e altri edifici privi di interesse militare), hanno costituito crimini di guerra.

Le autorità siriane hanno ammesso gli attacchi, sostenendo che l’obiettivo erano le basi e i membri dello Stato islamico. Tuttavia, secondo le prove raccolte da Amnesty International, nella maggior parte dei casi non era identificabile alcun obiettivo militare nei pressi delle aree attaccate.

Durante il più sanguinoso giorno di attacchi, il 25 novembre, le forze governative hanno bombardato una serie di obiettivi civili, tra cui una moschea, un mercato, vari negozi, un edificio residenziale, un deposito e la rete di trasporti pubblici.

Nel bombardamento della moschea intitolata all’imam al-Nawawi è possibile che siano morti anche dei membri dello Stato Islamico, che come altri fedeli stavano prendendo parte alla preghiera del venerdì.

Da quando lo Stato Islamico ha assunto il controllo dell’area, la popolazione di al-Raqqa vive sotto quello che le Nazioni Unite hanno definito un “regime del terrore” ed è obbligata a seguire l’interpretazione radicale della legge islamica. Chi è sospettato di aver violato gli editti o di opporsi allo Stato islamico viene ucciso in modo sommario o sottoposto alle pene corporali dell’amputazione e della fustigazione.

La popolazione di al-Raqqa già è costretta a vivere sotto il brutale giogo dello Stato islamico. Che per questo motivo venga attaccata anche dall’esercito siriano suona come una beffa atroce.

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