Poteva essere solo un team di sviluppo indipendente a resuscitare il survival horror nella sua declinazione più pura. White Night, opera prima di OSome Studio, è un ritorno alle radici del genere, quelle che nutrivano di densa sostanza videoludica produzioni come Alone in the Dark e i primi capitoli di Resident Evil. Titoli nei quali il giocatore era quasi costantemente indifeso, spaesato, inquieto, posto in una situazione di inferiorità atta a stimolare nel suo animo paura, tensione, angoscia. L’orrore si può evitare, ma non sconfiggere; questa sembrava essere la regola di un genere che ha poi ceduto il passo ad un approccio con molta più azione, forse più adatto ai gusti del mercato odierno, ma certamente meno carico dal punto di vista emotivo. Ecco, White Night è una sorta di riscoperta di sensazioni provate anni fa, un titolo con un’impostazione ludica molto rigida, ma capace di creare tensione e paura.

Si fa subito riconoscere il gioco per una forte identità, derivata da una direzione artistica sapiente e da un’ambientazione poco sfruttata ma intrigante. White Night colpisce subito il giocatore con un bianco e nero che non è solo un mero esercizio di stile, ma ha un suo significato. Se in MadWorld, titolo del 2009 di Platinum Games, il bianco e nero serviva a rendere ancora più evidente e d’impatto la violenza della quale era infarcito, con il rosso sangue che andava a imbrattare ogni cosa, in White Night segue coerentemente un concept tutto organizzato attorno all’alternanza tra luce e buio.

Il protagonista del gioco, dopo un incidente in cui crede di aver investito una donna (l’avrà fatto davvero? È questo il primo interrogativo che subito viene messo di fronte al giocatore) trova rifugio all’interno di una casa isolata, ed è lì che inizia il suo incubo, fatto di oscurità, fantasmi, delitti, squilibri mentali. Nella casa alberga un male soprannaturale, che si annida nel buio, ed ecco allora come le poche luci funzionanti ed i cerini che tocca costantemente accendere siano l’unico rifugio, l’unico modo per rimanere in vita, mettendo insieme mano a mano i pezzi di una storia che ha molto del noir classico, in cui l’investigatore, la bella e il caso irrisolvibile sono gli ingredienti, qui amalgamati e serviti secondo canoni decisamente inquietanti. E c’è persino posto per la musica jazz, una sorta di filo conduttore che accompagna i momenti più importanti della trama e le sue rivelzioni più significative.

Nonostante il suo innegabile fascino, su White Night è facile sbattere la testa. Il gioco è difficile, com’è giusto che lo sia un survival horror, ma ha alcune soluzioni fortemente scoraggianti per un giocatore non abituato al genere. La gestione macchinosa dei salvataggi è uno di questi, così come lo sono le inquadrature fisse, croce e delizia per gli appassionati, che qui spesso disorientano, anche per una regia che non lesina prospettive ardite; il livello di difficoltà è mediamente alto, visto che basta essere colti da uno spettro per finire nel freddo abbraccio della morte, senza possibilità di appello. Molte volte si arriva a procedere per tentativi ed errori, non per la rigidità degli schemi tradizionali del genere ma per evidenti difetti nel gameplay. Nonostante ciò si è spinti ad andare a avanti, per il fascino della produzione, per la sua atmosfera, per i suoi gustosi enigmi.

A quanto di ottimo il gioco propone quindi nello stile e nell’ispirazione non corrisponde un simile livello qualitativo in termini di giocabilità, ma White Night rappresenta comunque un titolo originale, che vale la pena considerare, per avere un assaggio del vero survival horror, nel quale ci si avvertono pericolo, tensione e scoramento. Perché contro qualcosa di più forte e soprannaturale l’uomo non ha armi né difese.

A cura di Fabio Canonico

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