“Ho avvisato il Comune di Lavagno e l’Assessore Walter Facchini ha fatto murare l’accesso alla chiesa”, dichiarava Aldo Masconale, appassionato locale, a L’Arena di Verona nel settembre 2008. La chiesa era quella di San Giuliano, all’interno del complesso monastico di Lepia, nel comune veronese di Lavagno. Un convento fondato nel 1176, con una serie di diversi edifici aggiunti in varie epoche al nucleo originario, distesi accanto ad una delle due corsie della Strada Porciliana, realizzata recentemente proprio sul tracciato di età romana della via Imperialis. Tutto abbandonato. Strutture in cattivo stato di conservazione, in gran parte coperte dalla vegetazione infestante. Per fortuna c’è un cartello. Non indica la presenza del complesso monumentale. E’ quello della polizia stradale che segnala il “controllo elettronico della velocità”. Bisogna rallentare. Rendersi conto della distruzione è agevole. La chiesa, nella quale alcuni anni fa la Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici del Veneto ha realizzato alcuni sondaggi, è stata ripetutamente saccheggiata. Nonostante la segnalazione di Masconale. L’altare maggiore, quasi completamente spogliato. Gli inserti marmorei rimasti risultano rotti, mentre la lastra che chiudeva il lato a vista è stata staccata e frantumata sui gradini. Allo stesso modo sono state distrutte le due grandi pietre sepolcrali al centro della navata. Dalla torre sono state asportate entrambe le campane. Precario lo stato di conservazione degli affreschi altomedievali, dell’abside e della facciata.

La storia del complesso, sede di una congregazione di suore benedettine fino al 1771, quando la Serenissima decise la soppressione del monastero, contraddistinta da segnalazioni di crolli, da denunce della condizione preoccupante. Luisa Bellussi, presidente della locale sezione dell’Archeoclub, nel dicembre 2007 ha inviato una lettera per denunciare lo scempio al sindaco di Lavagno, a Legambiente, alla Soprintendenza ai Beni Ambientali e Culturali di Verona, alla Soprintendenza ai Beni Culturali e Architettonici di Venezia e al Ministero per i Beni culturali. Ancora nel 2007 Legambiente ha inserito il monastero nella dodicesima campagna nazionale “Salvalarte”. Nel settembre 2008 L’Arena di Verona segnalava che, “nelle cantine, negli essiccatoi e nei depositi agricoli si trovano giacigli di fortuna, auto, televisori e materiale di ogni genere”.

Sul complesso medievale, che compare anche nel censimento del Fai 2014, continua l’incertezza. Nel 2000 è fallito il tentativo da parte dei proprietari di ottenere l’autorizzazione del Comune di Lavagno per abbattere gli edifici dell’ex convento, risparmiando la chiesetta e il campanile, utilizzando la cubatura della parte demolita per la costruzione di un ampio condominio. Nel 2012 il Comune, su sollecitazione di Legambiente, si è reso disponibile a indire un concorso di idee per la riqualificazione del paesaggio di Corte Lepia. Non se ne è fatto niente. Intanto, nel giugno 2010, il Comune acquisisce la proprietà della chiesa in cambio del permesso di lottizzazione di 5mila mc a San Briccio. “Tanti amministratori avevano tentato di portare a casa questo risultato che dà lustro al Comune. Noi ci siamo riusciti. Naturalmente i lavori di restauro partiranno assieme a quelli del recupero dell’intera struttura monastica”. A dirlo il sindaco Simone Albi. Sono trascorsi cinque anni, si è ancora in attesa che si metta fine all’abbandono. Valorizzando in maniera idonea quel che rimane del monastero di Lepio.

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