Non mi piace sparare sulla Croce Rossa, e L’Oriana, la fiction di RaiUno sulla figura di Oriana Fallaci, è già stata bersagliata da tantissime critiche.

Però davvero non riesco a tacere di fronte all’ennesimo scempio della serialità televisiva italiana, stavolta aggravato dalla semplificazione di un personaggio così importante nella storia del Novecento italiano.

Dal punto di vista artistico, niente di nuovo sotto il sole. Persino le fiction di maggior successo da noi sono prodotti imbarazzanti, spesso girati alla bell’e meglio, distanti anni luce dalla perfezione stilistica e narrativa dei prodotti americani. Ma questa non è una novità, e L’Oriana si colloca in una lunga lista di fiction raffazzonate. Poco male, ormai siamo abituati.

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Il problema principale de L’Oriana, però, è narrativo. La vicenda umana e professionale di uno dei personaggi più complessi dell’Italia novecentesca è stata riassunta in un bignamino narrativamente poco coerente, con salti temporali ingiustificati e con un’approssimazione nel racconto che grida vendetta. E poi, cosa ancora più grave, l’interpretazione di Vittoria Puccini somigliava più a una sorta di parodia forzata piuttosto che a uno studio approfondito del personaggio. Spiace anche accanirsi contro l’attrice fiorentina, ma non si può recitare per oltre tre ore come se si stesse declamando la Divina Commedia nel più classico e ampolloso dei modi. Zero naturalezza, zero profondità. Solo un lungo esercizio stilistico, riuscito peraltro malissimo.

E poi c’è da analizzare anche le caratteristiche attribuite dalla Puccini e dal regista al personaggio Fallaci. La grande giornalista toscana aveva un carattere spigoloso, è vero, ma L’Oriana ha tratteggiato un personaggio isterico, perennemente arrabbiato con tutto e tutti, costantemente sopra le righe e con una cattiveria di fondo che non rende giustizia alla complessità di una donna dalle mille sfaccettature.

Ospite sul palco dell’Ariston di Sanremo solo qualche giorno fa, Vittoria Puccini si era “esibita” nell’imitazione della voce della Fallaci. Ebbene, già da quel breve saggio di imbarazzante parodia avremmo dovuto capire che l’attrice si era soffermata troppo sulla somiglianza vocale (forzata, scolastica, di maniera), tralasciando l’analisi più profonda del personaggio. La Fallaci raccontata dalla fiction non ha spessore, emotività, sviluppo psicologico. È un personaggio in due dimensioni, non in tre. Piatto, banale, svuotato da ogni intreccio interiore. Un esempio su tutti: i pochissimi e superficiali minuti dedicati all’ultima Fallaci, quella della discussa (e discutibile) svolta anti-islamica post 11 settembre.

Se fosse stata ancora viva, di certo Oriana Fallaci avrebbe impedito tale scempio, non prima di aver massacrato verbalmente chi se n’è reso responsabile. Perché va bene tutto, per carità, ma c’è un limite che non si può varcare: quello del rispetto del personaggio che si racconta e della sua complessità. L’omaggio, nel caso de L’Oriana, è diventato imbarazzante parodia.

Per conoscere davvero la donna, la giornalista, la feroce polemista, il modo migliore resta la lettura dei suoi libri e dei suoi reportage. Non si può imbrigliare la Fallaci in un personaggio da fiction televisiva. Un tentativo fallito miseramente, un affronto che Oriana non meritava. E neanche lo spettatore.

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