E’ stato “venduto” come l’ultimo ritrovato tecnologico, ma si basa su una soluzione che ha quasi 40 anni. Il primo SMS si racconta esser stato inoltrato nel 1984 da Matti Makkonen, ingegnere della Nokia, che – mentre si stava annoiando in pizzeria a Helsinki – venne folgorato da questa sua ispirazione hi-tech… Se quel tecnico fosse stato a tavola nei “quartieri” a Napoli probabilmente sarebbe stato ammaliato da una semplice Margherita e oggi non ci sarebbe stato nulla da raccontare…

Parliamo di “IT_alert”, il sistema tricolore per avvertire la popolazione in caso di emergenza. Non tutta la popolazione, ma solo quella che dispone di un telefono cellulare. L’iniziativa – che in barba all’insistente invito governativo ad evitare espressioni straniere non ha nemmeno potuto chiamarsi banalmente “allarme” – ha ingredienti e ricetta estremamente elementari. La lista della spesa comincia con una o più reti di telefonia mobile con le rispettive BTS (Base Transmitting Station o “ponti radio” per utilizzare una espressione ruspante) che, distribuite territorialmente, sanno bene quali utenze sono agganciate e quali potrebbero arrivare a servirsene a seguito di uno spostamento (meccanismo che permette a chi è in auto di non interrompere le conversazioni passando automaticamente da una “cella” all’altra).

Secondo elemento necessario è costituito dai “telefonini” che devono essere accesi e comunque raggiungibili. Al fondato prevedersi di un evento sfavorevole, chi ha responsabilità nell’area che potrebbe essere interessata innesca una rapida procedura che prevede la delimitazione geografica, l’individuazione delle BTS cui è affidata la copertura TLC, la predisposizione di un breve messaggio di testo che riporta la condotta da tenere, l’inoltro in automatico (da parte delle apparecchiature di rete) dell’SMS a chi rientra nel raggio di azione delle stazioni trasmittenti installate nelle zone potenzialmente colpite.

Ad attivare l’allerta può essere il pericolo di uno tsunami (nel Mediterraneo?!?) conseguente un fenomeno tellurico, il crollo o il collasso di dighe o invasi idrici, un incremento dell’attività vulcanica, il verificarsi di incidenti nucleari o di altre situazioni di emergenza radiologica, eventi gravi di inquinamento contemplati dalla cosiddetta Direttiva Seveso e – cosa più frequente ad accadere – l’approssimarsi di precipitazioni di eccezionale intensità. Con estrema immediatezza la rete telefonica “spara” il messaggio che giunge sul telefono di chi rientra nell’area in emergenza con un suono insolito e fastidioso che solo la pressione del tasto “OK” riesce ad interrompere.

A quel punto si scopre che non basta avere un apparato mobile e che il sistema non riguarda tutta la popolazione e nemmeno quella con un cellulare qualunque. Incrociamo le dita augurandoci che non ce ne si debba mai servire, l’architettura realizzata prevede un feedback dai cittadini così da avere riscontro dell’efficacia della segnalazione di rischio inviata. Questo check prevede la compilazione (da parte del destinatario) di un modulo, privilegio riservato ai felici possessori di uno smartphone con sistema operativo Android o iOS e – tra loro – a quelli che riescono ad aprire la pagina dedicata che non sempre riesce ad apparire, nemmeno sullo schermo dei più volenterosi.

Nel corso della sperimentazione in Italia sono state rilevate difficoltà e problemi di ordine tecnico e psicologico. Tralasciando quelli “telefonici” che vanno dalla mancata ricezione al recapito multiplo, vanno riportate alcune riverberazioni negative dovute alla informazione superficiale riservata in proposito agli italiani. Molte persone – soprattutto anziane o con poca confidenza con gli odierni mezzi di comunicazione – si sono preoccupate davvero nel ricevere il messaggio e hanno temuto il peggio. Non c’è bisogno di immaginare cardiopatici o semplici deboli di cuore: anche “diversamente anziani” hanno sussultato quando la suoneria è impazzita (o forse ha bevuto – cit. De Gregori) e sul display veniva da leggere non “Messaggio di test” ma più facilmente “sistema di allarme pubblico”…

Chi conosce lo specifico ambito non fatica ad elencare punti deboli di questo genere di soluzione. Anzitutto il tempo necessario per individuare i destinatari e spedire il messaggio, operazione che pur molto celere non è istantanea e in momenti di emergenza non è difficile capire quanto sia prezioso anche un solo minuto. Poi – e vale principalmente per chi non è in compagnia di altre persone che potrebbero attivarsi subito – va considerato che non tutti stanno sempre con il cellulare a portata di mano e potrebbero vedere l’SMS troppo tardi.

C’è poi la questione del raggio delle celle che potrebbe andare oltre l’area di interesse o risultare insufficiente (è per questo che la sperimentazione è addirittura regionale?). Quello delle truffe non è un possibile rischio ma una certezza su cui credo sia inutile dissertare. L’allerta credo abbia già ispirato malandrini di ogni sorta.

Fermiamoci qui. A chi spaccia la novità e magari si aspetta un applauso per il buon lavoro, è bene ricordare che si tratta di uno standard europeo i cui primi lavori risalgono al 2008 ed è in vigore dal 2018. Tra i primi Stati che lo hanno sperimentato c’è – ad esempio – il Belgio, dove BE_alert ha iniziato a funzionare nel 2014, è stato sottoposto a due anni di test ed è pienamente operativo dal 2017. Già, il Belgio. Ma cinematograficamente sappiamo che “Dio esiste e vive a Bruxelles”…

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