Dal 29 gennaio sono al cinema ‘Unbroken’ e ‘Gemma Bovery’. Il primo, biopic su una grande storia e esordio dietro la macchina da presa di Angelina Jolie. Il secondo, raffinata regia di Anne Fontaine in un intreccio sentimental letterario. Ma non tutte le ciambelle riescono col buco

Tra le uscite sempre più fitte di gennaio e febbraio può capitare, a naso in su davanti alle locandine a schiera sospese su un botteghino, di ritrovarsi indecisi tra un paio di titoli da poco in sala. Potrebbe succedere con Gemma Bovery e Unbroken. “Una commedia romantica, europea, sulla falsa riga di Flaubert, o la storia struggente del corridore americano prigioniero di guerra per due anni?” Piccoli dilemmi da serata spensierata.

Un reduce di guerra d’eccezione, Louis Zamperini, italo americano, aviatore durante la Seconda Guerra Mondiale. Battaglie aeree, un abbattimento rocambolesco, il naufragio di 47 giorni nel Pacifico e la prigionia con due anni di torture in Giappone. Un potenziale grande biopic nato dall’omonima biografia, Unbroken, scritto per il cinema dai Coen, ma preso sotto l’ala registica esordiente di Angelina Jolie. “Forse qualcosa di meno impegnativo? Però intelligente”. Potrebbe fare al caso nostro Gemma Bovery. Un intellettuale parigino dalla nuova vita confinata alla panetteria paterna in Normandia trova nella quasi omonimia dei nuovi affascinanti vicini di casa spunti e coincidenze letterarie che portano al capolavoro di Gustave Flaubert: Madame Bovary.

Dalla graphic novel di Posy Simmonds, la regista Anne Fontaine tesse un racconto delizioso, strabiliante per il suo doppio registro giocato tra realtà e romanzo. Gemma Arterton con un character al centro di amori platonici e non, emana splendore riuscendo ad essere peccaminosa e deliziosa insieme. Felina, rende grande insieme a Fabrice Luchini il lavoro della regista. Teatralità e incertezze agrodolci di ogni personaggio danzano con la macchina da presa per un affresco che prosegue il percorso dell’omaggio cineletterario di Luchini già da Moliere in bicicletta. Qui l’ossessione romanzesca è sapientemente mescolata ai tratti della commedia sentimentale, che il raffinato indagatore di campagna Luchini manifesta in toto dallo sguardo languido e nel cadenzato impastare il suo pane e la storia della sua vicina. Storia definita dai nomi della sua protagonista, per riflettere sulle strane casualità della vita, ma di più sul piacere, la bramosia dei desideri, l’impossibilità del sogno e l’ineluttabilità di certe scelte con l’eleganza di un piccolo, grande film.

E poi ci sono grandi storie vere. Biografie che ad ascoltarne alcuni passi bagnerebbero gli occhi alzando i peli sulle braccia a chiunque. Quella di Zamp, come lo chiamavano i commilitoni americani, è stata la vita di un atleta olimpico divenuto miracolosamente reduce. Uno script non ricco di parole e frasi a effetto, che esigeva talento visivo, preparazione tecnica e carisma enormi dietro la macchina da presa. Da applicare per giunta a situazioni diversissime, estreme e lontanissime dal qui e ora (battaglie aeree, prigionia, Olimpiadi tedesche del ‘36, infanzia difficile, 47 giorni di oceano su un gommone).

Forse sarebbero stati più adatti nomi come Spielberg, McQueen, o gli stessi Coen per la regia. C’erano il materiale, la storia, e la Universal con la Legendary Pictures a garantirne prodotto e confezione. Vista la gravità delle sofferenze subite da Zamperini, ennesimo sopravvissuto ed eroe della peggiore delle guerre, è un peccato sembrar cinici di fronte all’esordio non dei migliori della Jolie. Essere amici e vicini di casa di un grande reduce non è bastato. E forse neanche essere la moglie di Brad Pitt per costruire un film troppo imponente e complesso per una regista ancora non pronta a tutto questo.

Il cast è di buona qualità, ma si vede soprattutto nelle sequenze tecnicamente difficili, come quelle aeree, che Jack O’Connell, Domhnall Gleeson e il resto dell’equipaggio non sono al massimo. Mentre Miyavi, attore esordiente nei panni del sadico carceriere nipponico, riesce a esprimersi meglio sul set più monodirezionale del campo di prigionia. Il suo è un personaggio tagliente e disturbante che sfuma nella frattura della propria anima per l’orrore. Girare (tutto) a Hollywood non è per tutti. Jolie avrebbe fatto sicuramente meglio con una storia più raccolta, intima. Tratti dove ha invece reso meglio, insieme ad alcuni buoni quadri. “Bruciata?” No, alla prossima.

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