Il 30 dicembre dello scorso anno è stato consegnato il documento finale sul futuro dell’area archeologica centrale di Roma redatto da una commissione di esperti nominato dal Ministero dei Beni culturali e dal comune di Roma. Una relazione che –oltre a tanti aspetti condivisibili- contiene però un dato fondamentale: la chiusura di una lunga fase di costruzione del grande progetto del Parco archeologico centrale di Roma che prese il via alla fine degli anni ’70 e che nel tempo ha redatto un progetto di trasformazione urbana che ora viene invece gettato alle ortiche.

E’ un fatto gravissimo: a quel progetto hanno lavorato grandi intellettuali italiani: Antonio Cederna, Italo Insolera; Adriano La Regina e tanti altri. Quel clima culturale aveva in particolare fatto maturare una proposta di grande rilievo elaborata da Leonardo Benevolo e Francesco Scoppola, il primo urbanista, il secondo uomo di cultura e dirigente del ministero dei Beni culturali. Questa proposta progettuale è così importante che la stessa commissione ministeriale non ha potuto fare a meno di giudicarla come “la migliore” sotto il profilo della prefigurazione dell’assetto dell’area archeologica centrale.

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Il progetto Benevolo–Scoppola prevedeva la demolizione della via dei Fori imperiali, il grave misfatto compiuto durante il fascismo che portò come noto alla completa demolizione del tessuto urbano compreso tra piazza Venezia e il Colosseo e alla costruzione della strada dei trionfi ad uso retorico delle celebrazioni di regime. Sotto questa strada moderna restano, come noto, da scavare i resti dei Fori che la furia demolitoria non pensò neppure di indagare. Un tesoro nascosto, come hanno dimostrato i tanti esempi di scavo che negli anni la Soprintendenza di Stato sotto la guida di Adriano La Regina portò avanti con grande coerenza di impostazione.

Questo sogno è cancellato. Via dei Fori imperiali resta il pilastro del futuro di Roma e bisogna –per ora- farsene una ragione. La commissione lo dice esplicitamente utilizzando due argomentazioni. La prima è funzionale: la via dovrà restare per permettere i collegamenti del trasporto pubblico. La seconda è maggiormente grave perché attraverso l’uso disinvolto dell’accusare gli altri di aver in mente un “modello ideologico” (e cioè la demolizione della strada misfatto) viene invece praticata a piene mani l’ideologia retorica e buonista di un parco “aperto alla città” in cui “si possa leggere il giornale su una panchina” e via di questo passo. Evidentemente qualcuno della commissione pensa che Cederna e Insolera non amavano le panchine e i giornali. Ma non è questo il punto più grave.

Il punto vero è che la commissione pensa alla costruzione di nuove infrastrutture di collegamento urbano che erano state elaborate con altra impostazione culturale e urbana da alcuni altri noti architetti, come Panella e Fuksas. Insomma, si nega la riunificazione dei Fori sull’altare di una concezione “progettuale” della città in cui, mi si permetta, non è la storia ad essere maestra delle trasformazioni, ma è l’estemporaneità e lo strizzare l’occhio ad una malintesa “modernità”. Tanto arbitrario deve essere apparso alla commissione questo passaggio, che sull’altare della necessità della restituzione dell’unitarietà dei Fori, viene sacrificata la via Alessandrina, piccola strada tracciata nel ‘500 per permettere la costruzione del quartiere omonimo cancellato dal fascismo. Insomma via dei Fori imperiali non si deve demolire perché “è un segno della stratificazione della storia della città”, ma contemporaneamente si vuole demolire una strada di dimensioni incommensurabilmente più piccole della prima. È una contraddizione inspiegabile che trae alimento proprio “dall’ideologia” di mantenere a tutti i costi via dei Fori Imperiali.

Il de profundis sul progetto Fori è poi sancito anche da tre ulteriori fatti che devono essere richiamanti almeno succintamente. Il primo riguarda il fatto urbanisticamente grave che la commissione porta il suo convinto consenso al completamento della metropolitana “C” di Roma, lo scandalo del più grave esborso di denaro pubblico (siamo già a sei miliardi di euro) e di ritardi sulla tabella di marcia di tutta l’Italia. L’opera è ferma a San Giovanni e sono molte le persone di buon senso che hanno proposto un nuovo tracciato che non attraversi il centro antico, anche perché non potrà essere aperta nessuna stazione di accesso. Getteremmo altri miliardi di euro per un tubo che non avrà rapporto con l’assetto urbano. Questi dubbi sono spazzati via dalla commissione.

Il secondo riguarda il ruolo del sindaco Marino che ha trovato il tempo di proporre alla commissione la realizzazione di una tramvia su via dei Fori imperiali. Aveva vinto le elezioni dichiarandosi favorevole al progetto Fori di Cederna ed ora -forse a causa dell’affaticamento causato dalla strenua lotta che ha ingaggiato contro i poteri forti della città- ha cambiato idea.

Il terzo riguarda le motivazioni dei lavori della commissione e alcune inspiegabili esclusioni. Nell’ottobre 2013 l’allora ministro dei Beni culturali Bray aveva avviato i lavori di due commissioni di lavoro, la prima era finalizzata alla rimozione del vincolo di legge che dal 2002 impediva la demolizione di via dei Fori imperiali. La seconda avrebbe dovuto redigere le ipotesi di assetto con il concorso di urbanisti e esperti di mobilità. La commissione nominata da Franceschini non ha al suo interno alcun tecnico di mobilità e vede alcune esclusioni inammissibili per chi conosce la storia di questa città. Tra i grandi urbanisti che hanno sempre dimostrato grande sintonia con il progetto Fori c’è Vezio De Lucia che non ha trovato alcuna collocazione. Del resto, a Francesco Scoppola, dirigente del ministero e autore del progetto esplicitamente lodato nella relazione, non è stato trovato un ruolo. Anche in questi piccoli ma importanti segnali, si trovano le motivazioni che hanno consentito alla commissione (con il voto contrario di Adriano La Regina) di dire la parola fina al progetto Fori. Ma ci saranno altre occasioni per riaprire la questione.

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