Due senatrici del Pd hanno inserito nella Legge di stabilità un emendamento che avvicina l’aliquota Iva dell’origano a quella di altre erbe aromatiche, come salvia e basilico. Al di là delle facili ironie, la vicenda conferma ancora una volta che al nostro fisco manca soprattutto la semplicità.

di Massimo Bordignon* e Gilberto Turati** (lavoce.info)

L’Aliquota dell’origano

Gli anni passano, le regole contabili variano, preme la crisi e l’Europa, ma ci sono cose su cui uno può sempre contare restino immutabili. Una di queste è il tradizionale attacco alla diligenza durante l’approvazione della legge finanziaria (ora, di stabilità). Non c’è deputato o senatore che riesca a resistere alla tentazione di sfruttare l’occasione per cercare di avvantaggiare il micro-interesse settoriale o la parrocchia locale con l’emendamento ad hoc. Il risultato è spesso paradossale, se non confinante con l’assurdo.
Per esempio, le senatrici Pd Leana Pignedoli, insegnante di educazione musicale di Reggio Emilia, e Venera Padua, un medico dell’Azienda sanitaria provinciale di Ragusa, si sono poste l’obiettivo di porre fine a una ingiusta discriminazione fiscale nei confronti dell’Origanum dictamnus, volgarmente noto come “origano”, rispetto a basilico, salvia e rosmarino. Discriminazione doppiamente ingiusta, perché Origanum dictamnus è un antibiotico naturale, utile per le malattie respiratorie, ricco di vitamine, antisettico e antispasmodico; non è ovvio se basilico, salvia e rosmarino possono vantare proprietà analoghe. Il disincentivo fiscale nei confronti dell’origano si trova nell’ambito di applicazione dell’Iva: stabilisce infatti il Dpr 633/72, Tabella A, parte II, modificato dalla legge 133/1999 (art. 6, c. 7, lettera b) che “basilico, salvia e rosmarino freschi destinati all’alimentazione” debbano essere tassati all’aliquota agevolata del 4 per cento, mentre l’origano (essiccato, in buste sigillate, a rametti o sgranato, ma sempre per alimentazione) debba essere sottoposto all’aliquota ordinaria del 22 per cento. Questo perché, come stabilito dalla risoluzione n. 34 del 21 febbraio 2006 dell’Agenzia delle Entrate, pur essendo da un punto di vista tecnico/merceologico appartenente alla stessa voce doganale di basilico, rosmarino e salvia, l’origano non è menzionato esplicitamente dal legislatore fiscale come destinatario dell’aliquota agevolata e dunque deve ritenersi assoggettabile alla aliquota piena. Le senatrici propongono con il loro emendamento di eliminare questa discriminazione; solo in parte però, perché l’aliquota proposta sull’origano dovrebbe essere il 6 per cento e non il 4 per cento (dunque, introducendo una nuova aliquota “semi-agevolata” Iva nel nostro ordinamento proprio per l’origano), pare perché il bilancio dello Stato non consenta proprio riduzioni più marcate del gettito fiscale sull’origano.

Le erbe degli inglesi

I migliori auguri alle senatrici. Segnaliamo però che esiste un’altra fonte di discriminazione fiscale che l’emendamento non affronta. Quando si parla di erbe aromatiche, un conto sono le foglioline o i rametti, un conto le piantine. Sempre il Dpr 633/72 (modificato dalla legge 133/1999, art. 6, c. 7, lettera c) stabilisce infatti che “basilico, salvia e rosmarino allo stato vegetativo” debbano essere tassate al 10 per cento e non al 4 per cento. Questo crea un’ulteriore discriminazione; chi infatti acquista le piantine, ma poi se le mangia, dovrebbe essere tassato logicamente al 4, non al 10 per cento. L’aliquota semi-agevolata sull’origano non risolve il problema. Naturalmente questi sono commenti facili e per certi versi ingiusti nei confronti delle senatrici che certo non hanno inventato loro il problema. Ma viene in mente che forse tutta questa meritevole attività legislativa potrebbe essere risparmiata se il fisco italiano adottasse qualche regola più generale. Gli inglesi, per esempio, l’hanno fatta semplice: aliquota zero su tutte le erbe aromatiche, indipendentemente dal fatto che siano vendute come piantine, a rametti o in foglioline, fresche o essiccate. Ovviamente gli inglesi nulla hanno da insegnarci in tema di cucina, ma forse sul piano fiscale potremmo imitarli.

Un tema generale

La vicenda mette in evidenza anche un tema più generale; in Italia, l’aliquota standard sull’Iva si applica solo a circa il 50% dei beni e servizi, il resto è tassato ad aliquote ridotte. Le agevolazioni hanno certamente ragioni storiche, distributive e di sostegno ad alcune spese considerate fondamentali; ma visto le distorsioni che producono, comprese quelle sull’attività legislativa, ci si può chiedere se una considerevole potatura, per rimanere in tema, non sarebbe auspicabile.

*Si è laureato in Filosofia a Firenze e ha svolto studi di economia nel Regno Unito (MA, Essex; PhD, Warwick). Si occupa prevalentemente di temi di economia pubblica. Ha insegnato nelle Università di Birmingham, Bergamo, Brescia, Venezia e all’Universita Cattolica di Milano. Attualmente è professore ordinario di Scienza delle Finanze presso quest’ultima Università, dove dirige anche l’Istituto di Economia e Finanza e la Doctoral School in Public Economics. Ha svolto e svolge tuttora attività di consulenza per enti pubblici nazionali e internazionali ed è stato membro di numerose commissioni governative, compresa la Commissione sulla Finanza Pubblica presso il Ministero del Tesoro nel 2007-8. Redattore de lavoce.info.

** Nel 1995 si laurea in Scienze Bancarie, Finanziarie e Assicurative presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Nel 1999 ottiene il M.Sc. in Economics presso la University of York nel Regno Unito e, successivamente, nel 2003, il Dottorato di Ricerca presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. E’ stato ricercatore in Scienza delle Finanze (SECS-P/03) presso l’Università degli Studi di Torino dal 2002 al 2011; dall’ottobre 2011 è Professore Associato in Scienza delle Finanze sempre presso l’Università di Torino. E’ autore di diverse pubblicazioni in campo nazionale e internazionale su tematiche legate principalmente alle industrie dei servizi di welfare, in particolare alla sanità. E’ attualmente il Direttore del Master in Economia e Politica Sanitaria dell’Università di Torino e del Coripe Piemonte e membro dell’Organismo Interno di Valutazione della AO Ordine Mauriziano di Torino. E’ anche membro del Board della European Public Choice Society per il term 2012-2015.

 

Articolo Precedente

Governo Renzi: la canoa Italia vuole andare veloce, ma a remare sono sempre gli stessi

next
Articolo Successivo

Legge stabilità: l’autoritario manganello del fisco

next