Willy è stato assassinato a 18 anni. L’hanno sfigurato con una pistola ammazza-maiali. Poi botte a non finire, fino a renderlo irriconoscibile. Il suo cadavere, nudo, è stato abbandonato lungo l’argine di Goro, nel delta ferrarese del Po. Questo accadde il 30 settembre del 1988. Il delitto è rimasto senza un nome. L’inchiesta puntò su Valeriano Forzati, pluriomicida di Goro fuggito in Argentina (morirà nel carcere di Buenos Aires pochi anni dopo), con il quale Willy fu visto uscire da una pizzeria la sua ultima sera. Forzati venne scagionato e l’indagine per omicidio volontario contro ignoti si incagliò due anni dopo sui binari dell’archiviazione.

Ora, a 26 anni di distanza, la procura di Ferrara ha aperto un fascicolo sull’omicidio di “Willy”, Vilfrido Luciano Branchi, rubricato al momento come “atti relativi”. Questo in seguito a un esposto depositato dall’avvocato della famiglia della vittima che raccoglie un’inchiesta portata avanti nelle ultime settimane dal giornalista Nicola Bianchi della redazione locale del “Carlino”. La famiglia ha organizzato una fiaccolata domenica 16 novembre lungo le strade del paese per chiedere di aiutare gli inquirenti fornendo altri elementi utili a dare finalmente un nome a quel delitto.

Era stato il fratello di Willy, Luca, a scrivere nel dicembre 2013 un appello sul giornale chiedendo a chi sapeva di fare i nomi. Fu così che nella redazione del giornale locale arrivarono telefonate e lettere che, coperte dall’anonimato, indicavano il colpevole. E, a passare in rassegna le prime testimonianze, di persone che sapevano in paese ce n’erano tante. E indicavano tutte una pista: una relazione omosessuale con un uomo del paese. La minaccia di rivelare quella liaison proibita sarebbe costata la vita al diciottenne.

Ne è convinto anche l’ex parroco del paese don Tiziano Bruscagnin, a Goro dal 1997 al 2006, il don che ebbe il piacere di battezzare Willy e che 18 anni dopo patì il dolore di dare l’estrema unzione alle sue spoglie. Al cronista del “Carlino” il prete afferma di aver raccolto negli anni confidenze di alcuni compaesani (“al di fuori del sacramento della confessione”) e parla di una persona (un uomo “selvaggio”, che “esplodeva, e poi si afflosciava improvvisamente”) con cui il ragazzo intratteneva “un rapporto occasionale, un passatempo per chi lo uccise” e di due conoscenti che aiutarono l’assassino a liberarsi del corpo. “Ci dobbiamo vergognare tutti quanti, me compreso” incalza il sacerdote, che assicura di non essere il solo a conoscere la verità – o almeno parte di essa – sulla vicenda: “Ci sono duemila anime a Goro che sanno esattamente quello che ho detto io. Non posso coinvolgere nessuno”.

Dalle 15 pagine dell’esposto di Simone Bianchi (che arrivano a una cinquantina includendo anche gli allegati: lettere anonime ricevute dalla famiglia, trascrizione di conversazioni telefoniche e articoli di giornale) potrebbe nascere una nuova inchiesta. Al momento il fascicolo è stato affidato al pm Tittaferrante. “Dobbiamo valutare la documentazione – mette le mani avanti il procuratore capo Bruno Cherchi -: se ci saranno elementi nuovi chiederemo al gip di riaprire le indagini”. Intanto Goro cerca di uscire dal presunto muro di omertà che ha seppellito Willy una seconda volta. La famiglia ha organizzato una fiaccolata (domenica 16 novembre a partire dalle 17.30, ritrovo allo Young Club, nel parco intitolato al ragazzo) lungo le strade del paese per chiedere di aiutare gli inquirenti fornendo altri elementi utili a dare finalmente un nome a quel delitto.

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