Grandi fabbriche che chiudono, saracinesche di piccoli negozi di quartiere che si abbassano definitivamente, aziende che minacciano di lasciare il territorio: la crisi a Livorno picchia duro, forse di più che in altre parti d’Italia. Tanto da diventare un caso nazionale: il governo ha accettato la proposta di Regione, Provincia e Comune di allestire un tavolo  “per rilanciare la ripresa produttiva e occupazionale della città”. L’intesa è stata raggiunta il 23 ottobre al ministero dello Sviluppo economico in concomitanza con un vertice dedicato all’orizzonte della raffineria Eni di Stagno nel quale il management del Cane a sei zampe ha chiarito di non voler dismettere o ridimensionare lo stabilimento livornese ma non ha escluso l’ipotesi vendita.

L’obiettivo di Regione e enti locali è quello di ottenere la dichiarazione di “area di crisi industriale complessa“, un po’ come accaduto nell’aprile 2013 per la vicina Piombino, in ginocchio per la crisi siderurgica. La città di Livorno ha un tasso di disoccupazione intorno al 9% ed è da anni al centro di una crisi occupazionale pesantissima: dal 2008 a oggi sono stati persi un migliaio di posti solo nel settore della componentistica auto. Il futuro appare sempre più buio: “Sono a rischio altri 4mila posti di lavoro, tra grandi fabbriche, piccole realtà e personale dell’indotto” spiega il segretario provinciale della Cgil Maurizio Strazzullo, che non ha escluso nelle prossime settimane “uno sciopero generale cittadino” insieme a Cisl e Uil.

Lo stesso presidente della Regione Enrico Rossi ha sottolineato al viceministro dello Sviluppo Claudio De Vincenti le difficoltà di una città “fortemente colpita dalla crisi e dalle sue ricadute sul piano sociale”, una Livorno “martoriata dalla crisi e dalla disoccupazione”. Soltanto negli ultimi mesi sono infatti scoppiate le vertenze dell’Eni, dello stabilimento Trw (che produce sterzi per auto), degli 80 spazzini della Cooplat arrivati al confronto diretto con il sindaco Filippo Nogarin e Mtm (installazione di impianti gpl sulle auto). “La Regione è pronta a fare la sua parte ma ora la questione Livorno deve davvero diventare nazionale” dice il presidente toscano Rossi. Perchè Livorno è in ginocchio? “Lo sviluppo produttivo della città – dichiara a ilfattoquotidiano.it Nogarin – si è concentrato troppo sulla metalmeccanica e non si è pensato a diversificare: ora che il settore è in crisi ci troviamo nei guai” . Il sindaco M5s tira però in ballo anche la mancanza di “adeguati investimenti su infrastrutture e logistica”. Ora sarà perciò “più difficile convincere le multinazionali a rimanere in città”. Nel mirino anche le politiche di Regione e governo: “La costa tra Livorno e Piombino è stata dimenticata per troppi anni”. La situazione è delicata ma Nogarin sottolinea “il grande senso di responsabilità” dei lavoratori: “In altre parti d’Italia – conclude – sarebbe forse già scoppiato il caos”.

Secondo il deputato livornese Andrea Romano, eletto con Scelta Civica, ex capogruppo dei montiani a Montecitorio e ora in procinto di aderire al Pd: “L’intesa raggiunta è importante, farò il massimo affinché si rilanci la città. Le responsabilità della crisi? Sono soprattutto della politica ma anche sindacati e imprenditori hanno le loro colpe: bisogna essere consapevoli che le soluzioni non possono arrivare soltanto dall’esterno”.

Un tavolo nazionale è ottimo – commenta Mario Cardinali, direttore de Il Vernacoliere – ma che non sia soltanto un tavolo di discorsi”. Poi aggiunge: “Sarebbe bello in realtà allestire una tavola imbandita aperta davvero a tutti i cittadini e non solo ai soliti noti”. Cardinali conclude: “La situazione di Livorno è complicata ma non è molto diversa da ciò che accade nel resto d’Italia: servirebbero politiche statali d’intervento, questa situazione generale è figlia anche della globalizzazione e del liberalismo selvaggio“.

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