L’ufficialità della relazione medico-legale attesta che Marco Pantani morì tra le 11.30 e le 12.30 del 14 febbraio 2004. Ma oltre alle 17 indicate nel fax spedito nella serata di due giorni dopo al magistrato riminese Paolo Gengarelli da Giuseppe Fortuni, il medico che aveva effettuato l’autopsia, ci sono agli atti altri due orari della morte. Il primo – che indica il decesso tra le 14 e le 17 – è stato scritto da Marisa Nicolini, la dottoressa del 118 di Rimini che alle 21.20 aveva provato a rianimare il campione di ciclismo pur rendendosi conto che il suo era un intervento inutile, dato che il corpo presentava già segni di rigor mortis, processo in genere accelerato da intossicazioni acute di cocaina. Il secondo, invece, è indicato da Francesco Toni, il medico legale di guardia che fu chiamato al residence Le Rose per i primi rilievi sul corpo del “Pirata” trovato senza vita nella stanza D5 e parla di un orario della morte intorno alle 19

Sta tutto lì, nella 70 pagine della perizia della prima inchiesta sui fatti che portarono alla morte di Marco Pantani. Già nei giorni scorsi Fortuni era intervenuto sulla questione dell’ora del decesso. “Il 16 febbraio 2004, al termine dell’esame autoptico da me eseguito”, aveva scritto in una nota, “inviai il fax con l’orario presunto e le presunte cause della morte. Ciò fu fatto, come è prassi consolidata, al solo fine di amministrativo per consentire alla procura di Rimini di emettere il nulla osta al seppellimento della salma”. E poi ha aggiunto che “furono utilizzate le conclusioni dei medici dei medici che per primi esaminarono la salma: il medico del 118 e il medico necroscopo”. In seguito, a valle degli esiti del test tossicologici e istologici, Fortuni poté effettuare comparazioni che lo portarono a definire con “maggior precisione il range temporale della morte”. 

Resta tuttavia da spiegare il motivo per cui il Rolex Daytona che Pantani portava al polso era fermo alle 16.50. Quel modello, infatti, si arresta solo dopo una cinquantina di ore di immobilità o perché danneggiato da un colpo e su questo punto l’avvocato della famiglia del ciclista, Antonio De Rensis, ha annunciato una perizia di parte. Ma restano da spiegare anche altri fattori, come le ferite sul cranio del ciclista. Nella perizia si parla di un lieve trauma cranico precedente alla morte e non abbastanza grave da causarne il decesso. Ma dalle foto effettuate prima dell’autopsia – che fanno parte dei 180 scatti allegati all’esposto presentato da De Rensis in procura a Rimini e alla base della riapertura delle indagini per omicidio volontario al momento a carico di ignoti – le ferite sono due, appena sopra l’orecchio destro. 

Sono ferite che vanno dai 3 ai 4 centimetri, una delle quali con un margine triangolare e di cui Tonina Pantani, la madre dell’atleta, aveva parlato fin da quando aveva visto il corpo del figlio all’obitorio. Non hanno sanguinato, quelle lesioni, non almeno nel luogo in cui viene ritrovato il cadavere. Lo si vede dai 51 minuti del filmato della polizia scientifica. Il sangue sotto il corpo di Pantani, ben distinguibile dalle immagini e già in via di solidificazione, proviene probabilmente soprattutto dall’emorragia interna provocata dall’edema che ha stroncato il campione di ciclismo. E nei 28 metri quadrati della stanza D5 del residence, del tutto a soqquadro senza che vi fosse nulla di rotto a parte il manico di uno spazzolone, non erano state rilevate tracce ematiche oltre a quelle sul soppalco, dov’era riverso il ciclista senza vita.

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