“Non ci scontreremo fisicamente con la polizia”. Così gli studenti hanno dichiarato che avrebbero ricostruito le barricate, ma non avrebbero interferito con il lavoro delle centinaia di poliziotti che martedì mattina sono scesi nelle strade per smontare blocchi stradali e barricate. Intanto la polizia ha quasi completamente liberato dai blocchi la zona centrale di Admiralty e ha annunciato che la prossima zona sarà Mong Kok.

Mong Kok è il primo quartiere dove gli attivisti si sono trovati a scontrarsi con la popolazione locale ed è notoriamente in mano alla malavita. Da quando il movimento ha preso le piazze (e siamo ormai alla terza settimana) gli affari della zona hanno avuto un calo verticale. Qualcuno parla addirittura del 70 per cento in meno di introiti. Così la malavita locale, che sicuramente in questa zona si fa pagare il pizzo, si è infiltrata in quello che è stato immediatamente definito il movimento antiOccupy e ha cercato lo scontro diretto con i manifestanti. Non ci è riuscita.

Ma ormai cominciano ad essere tante anche le voci di cittadini comuni che si oppongono al blocco delle strade. E molte le categorie che cominciano a risentire economicamente della crisi. Ovunque. Nel pomeriggio i ferrotranvieri sono scesi in piazza per chiedere agli studenti di liberare le strade e permettergli di riprendere il servizio normale. Gli attivisti hanno riposto con un generalizzato silenzio e i lavoratori se ne sono andati. I tassisti, intanto, minacciano soluzioni più violente se le strade non saranno sgombrate entro mercoledì.

Nel frattempo gli attivisti hanno bloccato gli uffici centrali della Bank of China e quelli dell’uomo più ricco dell’Asia Li Kai-shing, mentre gli antiOccupy hanno ritardato per due giorni la distribuzione del quotidiano Apple Daily del magnate Jimmy Lai. Quest’ultimo, che da sempre appoggia il movimento di Occupy, oggi minaccia azioni legali contro gli antiOccupy perché – denuncia il tycoon – così sì è messa a rischio la libertà di stampa.

I manifestanti, che sono ormai in numero ridotto, continuano a presidiare con sit in alcuni punti nevralgici della città. Da 17 giorni chiedono che il governatore Leung Chun-ying si dimetta e che a Hong Kong siano permesse elezioni veramente libere nel 2017. Leung nel frattempo è stato inquisito per una tangente di oltre 5 milioni di euro e il movimento, che si è dimostrato traversale in tutte le classi sociali, si è rivelato soprattutto il sintomo di una città che non è più in grado di garantire un futuro dignitoso per i suoi giovani.

Come ha spiegato bene l’economista Andy Xie, “Hong Kong fino ad oggi è stata governata come una città stato medioevale”. Al potere c’è un’élite economica che ha deciso per un liberismo sfrenato. Un sistema che ha funzionato fino a quando i salari sono cresciuti rapidamente e finché Hong Kong ha mantenuto un ruolo ben definito di ponte tra la Repubblica popolare e il resto del mondo. Ma l’élite che ha governato l’ex colonia britannica non ha aggiustato il suo modello economico dopo che la Cina è entrata nel Wto e il suo pil ha cominciato a crescere vertiginosamente.

Gli hongkonghesi, inoltre, lamentano che le loro specificità culturali stanno per essere inghiottite dalla sempre più grande e potente Cina e che il loro governo è più vicino a Pechino che a loro. E presumibilmente sarà ancora a Pechino a decidere come andrà a finire. La Repubblica popolare ha un’agenda fitta di appuntamenti: il plenum del politburo il 20-23 ottobre e il vertice Apec a novembre. La situazione di Hong Kong potrebbe indebolire sensibilmente il presidente Xi Jinping. E questo non sarà tollerato.

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