La politica non è come il cinema, spesso vincono i cattivi
Robert Altman

Bluffare per smascherare la reale natura di un gioco truccato. Come i protagonisti del magnifico California Poker, Robert Altman ha tentato la fortuna e vinto anche quando lo davano per spacciato. In sala da giovedì 16, Altman racconta il percorso di un artista che, come pochi altri, ha saputo colpire il conservatorismo (politico e cinematografico) americano: dai primi incerti passi all’incontro con la televisione, dalla Palma d’oro di M.A.S.H. alla maturità dei  capolavori dei Settanta, dagli “oscuri” anni Ottanta, quando ripara in Francia, alla rinascita con I protagonisti e America oggi fino ad una coda di carriera in cui dirige titoli come Gosford Park e Radio America.

Ossessionato dal “grande circo americano”, dalle storture della politica e dal fasullo firmamento hollywoodiano, il regista di Kansas City ha scardinato le convenzioni del racconto classico, salutando per sempre quelle forme ormai incapaci di restituire alcunché. Così M.A.S.H. decostruisce il genere bellico come I compari e Buffalo Bill e gli indiani fanno con il western, Il lungo addio sabota il noir e Nashville esplode un colpo mortale al musical. Ironia caustica, irrisione, sguardo realmente entomologico, Altman riscrive la Grande Epopea Americana, mischia le carte, i suoni e le linee narrative, lasciando aperto il processo nel suo stesso farsi, liberamente, come dimostra il giustamente celebre piano sequenza che apre I protagonisti. La sovrapposizione di storie e punti di vista, di voci e rumori nella colonna sonora sono la sua griffe più riconoscibile, un procedimento, tuttavia, mai ridotto a maniera perché sempre secondario ad un preciso sguardo sulle cose del cinema e della politica (da recuperare il prediletto Tanner 88, una serie girata per la Hbo sulla falsa campagna elettorale di un candidato democratico). 

Il prezioso documentario diretto da Ron Mann offre tanto un ritratto dell’uomo, le testimonianze della moglie e dei figli, quanto del cineasta, le dichiarazioni degli attori che tornano ciclicamente nei suoi film, due diverse proiezioni, alla fine, perfettamente coincidenti, come fossero la stessa faccia della medesima medaglia. In questo senso, il merito maggiore di Altman è l’aver compreso a fondo la lezione del suo stesso oggetto di indagine, perché la pluralità è più autentica della doppiezza così come il coro dà sempre una versione dei fatti più affidabile di quanto faccia un assolo. C’è un momento bellissimo che racchiude il senso dello studio di Mann così come il segreto del cinema imitatissimo e inimitabile di Altman: in un filmato amatoriale, vediamo l’anziano regista affacciarsi sulla sala da pranzo di casa sua, mentre osserva figli e nipoti parlare, muoversi, vivere in un fluire magmatico, naturale. Cosa significa altmaniano? Forse la risposta giusta sta in quelle poche, preziosissime immagini.

Articolo Precedente

La moglie del cuoco, dopo il successo in Francia il film arriva in Italia

next
Articolo Successivo

Festival di Roma, Marc’Aurelio a Salles. Prima mondiale del suo ultimo lavoro

next