Il codice penale prevede il riciclaggio da più di 20 anni. “Sostituire o trasferire risorse provenienti da delitto, ovvero compiere altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa” non si può. Il riciclatore deve:
1) sapere che le risorse provengono da delitto.
2) perseguire lo scopo di impedire che se ne possa scoprire la provenienza illecita.
3) compiere attività che rendano difficile scoprirla.

Norma semplice da interpretare semmai ce n’è stata una. Per estenderla all’autoriciclaggio, cioè a chi ricicla per nascondere la provenienza illecita di risorse provenienti da delitti da lui stesso commessi, era sufficiente eliminare da questa norma (art. 648 bis codice penale) sette parole: “Fuori dei casi di concorso nel reato”. In altri termini, secondo la legge attuale, il riciclaggio non può essere commesso da chi ha concorso nel reato base, quello che ha prodotto le risorse che si vuole nascondere. Insomma, al momento, chi ha commesso il reato base (per esempio la frode fiscale o la corruzione o il falso in bilancio) e chi lo ha aiutato a commetterlo non può essere incriminato per riciclaggio. Ma, eliminando queste sette paroline, l’art. 648 bis diventerebbe: “Chiunque sostituisce o trasferisce denaro etc… è punito”. Chiunque: dunque anche chi ha commesso il reato da cui sono originate le risorse riciclate.

Allora perché scrivere una norma nuova di zecca? Per inserirvi una precisazione: la non punibilità per chi usa le risorse provenienti da delitto per proprio godimento. Ridicolo e superfluo. L’uso personale non può mai costituire riciclaggio: non è idoneo a impedire l’identificazione della provenienza da reato; e dunque non costituisce nemmeno autoriciclaggio. Se comprassi una Porsche e prelevassi dal mio conto 150.000 euro (provenienti da frode fiscale), non compirei un’operazione idonea a nascondere questo “nero”. Anzi, se facessi una cosa del genere, mi autodenuncerei. Ma, se trasferissi i 150.000 euro sul conto di un mio prestanome che poi comprerebbe la Porsche facendola intestare a se stesso e consegnandomela, allora sì che ne nasconderei la provenienza. Trasferire i soldi da un conto a un altro non significa spenderli per godimento personale, serve solo a impedire che si scopra la loro provenienza. Poi, come saranno usati è irrilevante. In ogni riciclaggio è ovvio che, alla fine, tutto sarà destinato a “godimento personale”; altrimenti perché avrei commesso il reato con cui mi sono arricchito?

Capisco che persone ignoranti e desolatamente presuntuose credano di mettere al riparo se stessi e i loro amici dal rischio penale di condotte abitualmente praticate. Ma, possiamo stare tranquilli, non gli riuscirà. La giurisprudenza sul cosiddetto uso personale è ferrea: perché ci sia il reato occorre un’attività che impedisca etc; se, semplicemente, spendo i soldi in donne, automobili, viaggi e ville, non commetto il reato di riciclaggio, ma solo il reato base che mi ha permesso di disporne.

Altra cosa che si capisce fin troppo bene è la misura ridotta delle pene. Il riciclatore è punito da 4 a 12 anni. Perché diavolo l’autoriciclatore deve esser punito da 2 a 8 anni (e per reati base puniti con pena inferiore a 5 anni) da 1 a 4 anni? Sempre dello stesso reato si tratta. Il fai da te merita una ricompensa? Già. Ma la legge è targata Renzi & C; e, tra i C, c’è B. E lui di queste cose se ne intende.

Il Fatto Quotidiano, 10 ottobre 2014

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