Il lavoro. Il lavoro purchessia. Oggi questo è un mantra. Ed i governi di qualsiasi area (anche se l’area oramai è una melassa indistinguibile in cui confluiscono centro, sinistra e destra) si lambiccano per creare posti di lavoro. È rimasta famosa la promessa televisiva di Berlusconi del milione di posti di lavoro. Mai pervenuti. Ed oggi ecco lo scout che con l’inglesismo del jobs act si ingegna per crearne altri. Appunto: purché siano.

Ricordo anni fa che assistendo ad un’udienza in una sezione lavoro dell’allora pretura venni a conoscenza delle malattie professionali cui vanno spesso incontro gli addetti all’esazione nei caselli autostradali. Qualche giorno fa, invece, una cassiera di un supermercato mi confidò che la proprietà non tollerava che loro stessero con le mani in mano anche se non c’erano clienti alla cassa: dovevano sempre lavorare o almeno far finta di. Era stanca. Fare l’esattore ad un casello o la cassiera nella grande distribuzione oggi sono lavori che chiunque, giovane o meno giovane, accetterebbe ad occhi chiusi, ma siamo poi sicuri che non ledano la dignità umana? C’è molta diversità tra la cassiera del supermercato e l’operaio di “Tempi moderni”?

Perché faccio questo discorso? C’è un articolo della nostra Costituzione che pare dimenticato, ed è l’art. 41, che recita: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”

Dunque, è vero, il lavoro dovrebbe non arrecare danno alle persone ma neanche alla loro dignità. Torno a quello che dicevo prima. Siamo sicuri che molti dei lavori ripetitivi, e pagati magari un tozzo di pane, non ledano la dignità di chi li pratica? Ma è anche vero, d’altronde, che queste persone i lavori che possiamo tranquillamente definire “indegni” li accettano. E d’altra parte è anche vero che la carta costituzionale con i suoi sacri principi si rivolgeva a cittadini, mentre invece nella società di oggi non esistono più cittadini, ma solo consumatori, coscienti o meno. Gente che deve lavorare per far girare l’economia, non per chiudere gli occhi la sera cosciente di avere fatto qualcosa di utile per sé e per gli altri. Si deve lavorare e sempre di più per aumentare quel Pil disastrosamente basso, per pagare il mutuo, la rata dell’auto, magari l’ultimo melafonino.

Qualcuno potrà obiettare che molti di questi lavori, per lo più ripetitivi, fra non molto scompariranno sostituiti dalle macchine. Ed allora ci saranno altri posti di lavoro in meno. E la situazione sociale peggiorerà. Sì, lo so, il discorso è complesso, e nessuno ha la bacchetta magica, ma il lavoro inadatto alla dignità umana è uno dei campanelli che avvertono che la nostra società andrebbe cambiata nel profondo. Quello che profetizzava Illich, ed oggi sempre più epigoni, da Perotti a Mercalli, da Latouche a Bonaiuti interpretano ed adattano. Così come occorre riavvalorare il termine “mestiere” al posto di quello “lavoro”. Perché importa di più quello che fai rispetto a quello che guadagni.

Sono voci isolate, si dirà, sì, ma sono in realtà portavoce di un malessere che c’è, che esiste anche tra chi quel maledetto lavoro oggi ce l’ha, e magari non vuole ammetterlo e dice “io il lavoro ce l’ho, e meno male, tutto il resto sono seghe mentali.”

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