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Trattativa Stato-mafia: perché non ammettere al processo le parti civili?

Trattativa Stato-mafia: perché non ammettere al processo le parti civili?
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Oggi, tutta la stampa unita e compatta, non riporta un solo rigo sulla nostra nota di agenzia lanciata ieri, inerente il “Processo di Palermo ammissione dell’audizione del Presidente della Repubblica”, sembra siamo coloro, paventati ad alto livello, che vogliono strumentalizzare l’argomento, in realtà siamo solo coloro che hanno poco diritto di parola, eppure siamo stati coinvolti in una cosa più grande di noi e che ci ha rovinato la vita, mentre travolgeva la Nazione intera.

Cinque morti e tanti invalidi ci sono stati la notte del 27 Maggio 1993 e questo è ingiusto non ricordarlo. Viviamo quindi un senso oppressivo di ingiustizia e usiamo quindi questo spazio che abbiamo per esprimerci.

La Corte di Palermo, ha scritto che dovrà essere ascoltato il Presidente della Repubblica nel processo sulla Trattativa Stato-mafia come richiesto dall’accusa.

Il Presidente della Repubblica ha risposto che non ha nessuna difficoltà a riferire davanti alla Corte, ne siamo molto contenti e auspichiamo per chiarire una buona volta con la sua testimonianza qualcosa in più su quello che è successo a livello istituzionale nel 1993 quando sono morti i nostri figli, oppure non dire nulla di rilevante, ma la sua presenza nel processo sarà ugualmente importante.

Quello che invece dobbiamo dire è che siamo fortemente dispiaciuti che ad essere ammessi alla presenza del Presidente della Repubblica, come ha disposto la Corte di Palermo, saranno eventualmente oltre la Corte, le parti del processo, ma solo nei loro legali rappresentanti, non le parti civili presenti fisicamente.

La nostra presenza sarebbe stata molto gratificante per noi e l’avremmo valutata molto positivamente per quello che abbiamo patito.

Le parti civili sono parte integrante del processo stesso che si svolge a Palermo e quelle come noi sono una parte alla quale è stato fatto un torto gravissimo, torto almeno morale già emerso e provato dal processo di Firenze a Francesco Tagliavia, quando la Corte scrive: “Trattativa indubbiamente ci fu e venne, quantomeno inizialmente, impostata su un do ut des. L’iniziativa fu assunta da uomini delle istituzioni e non dagli uomini della mafia”.

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