Mauro Magatti, l’autore dell’articolo che ho illustrato questa settimana, mi ha praticamente passato l’idea per l’illustrazione senza neanche saperlo. La redazione mi inoltra il suo articolo in un file intitolato “La Babele dei lavori”. Il pezzo parla di come il mondo del lavoro sia oggi parcellizzato e come siano cambiate le categorie. L’espressione “Babele dei lavori” torna anche all’interno dell’articolo ed io non posso sottovalutare il suggerimento visivo perché: 

  1. evoca un’immagine forte e molto precisa;

  2. gioca una valenza centrale nell’articolo seppur sia soltanto un modo colorito per far passare un concetto sviluppato più approfonditamente;

  3. meglio evitare gli slalom della settimana scorsa;

  4. sono pronto a scommetterci che diventerà il titolo del pezzo.

Non conosco i titoli dei pezzi che vado a illustrare. A me arriva il file dell’articolo con un titolo “appoggiato” dall’autore che la redazione prende solo come spunto per formulare il titolo definitivo (come avviene da sempre in qualsiasi testata). Per di più quelle poche volte che ho chiesto alla redazione quale fosse il titolo (tanto per rubare qualche suggerimento più preciso sul cosa disegnare), mi hanno sempre passato dei titoli provvisori che poi, il giorno dopo, arrivano in edicola completamente rielaborati. 

Non escludo – ma non ne sono affatto certo – che qualche volta le mie illustrazioni abbiano influito un po’ nella formulazione dei titoli.

Ma torniamo alla torre di Babele così magari evito di prendermi titoli che non mi appartengono.

Torre di Babele sul titolo del file, torre di Babele all’interno dell’articolo, dieci a una sulla torre di Babele nel titolo sul giornale, ti pare che mi metto a disegnare pizze e fichi?

Comincio un po’ deconcentrato (forse proprio perché lo spunto mi è arrivato a gratis) e traccio la struttura della torre direttamente al computer.

 

Da qualche mese ho iniziato ad inserire elementi fotografici nelle mie illustrazioni, come ho fatto anche qui. Per le illustrazioni de Il Fatto cerco sempre di contenermi con l’uso di collage fotografici perché la carta dei quotidiani è torbida e in fase di stampa assorbe molto il colore. È sempre un po’ un casino capire come verrà fuori il proprio lavoro. Un elemento fotografico è ricco di informazioni sul colore che spesso si impastano con il grigiore della carta e fanno “rumore”. Quindi senza esagerare inserisco le mie foto sullo sfondo e coloro la torre. 


Quando lavoro per i magazine invece, e quindi su quella carta semi-patinata che sfogliate nelle vostre riviste, cambia tutto. La carta non assorbe il colore e quindi il tuo disegno non risulta molto diverso dall’originale. Nel caso di Tricycle, una rivista buddhista di New York con cui collaboro da più di un anno, ho fatto molti collage e alcuni di questi non contengono una sola riga disegnata a mano o al computer.

Quindi prima ho disegnato direttamente al computer la mia torre di Babele, poi ho inserito le mie foto. Adesso arriva il momento di disegnare un po’. Non riesco a disegnare le figure umane direttamente al computer. Ci ho provato un milione di volte fino a quando mi sono detto “ma perché imparare a fare una cosa al computer quando so già farla a mano?”. Me la sono spiegata così: per disegnare il corpo è necessario usare il corpo.

 Ecco la mia Babele dei lavori. Mi ci sono infilato anch’io, sulla destra mentre lavoro al computer. Magari avessi quella postura mentre disegno e magari azzeccassi il titolo almeno una volta. 

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