Don Pierino Gelmini, scomparso ieri sera all’età di 89 anni, è stata una delle figure più controverse del mondo cattolico italiano. Fondatore delle comunità di recupero Incontro, il suo impegno antidroga aveva origini antiche: nel 1963, incontrando per caso un tossicodipendente romano, don Gelmini aveva deciso di impegnarsi in quella che sarà vissuta nei cinque decenni successivi come una crociata contro le sostanze stupefacenti. Ma don Gelmini è stato anche un personaggio discusso. Politicamente vicino al centrodestra, è stato amico strettissimo di Silvio Berlusconi, che nel 1994 lo voleva addirittura ministro del suo primo governo, e nel 2001 aveva celebrato la messa in suffragio di Bettino Craxi, a un anno dalla morte in latitanza ad Hammamet.

Nemmeno le radicate amicizie politiche, però, gli avevano evitato alcune imbarazzanti inchieste della magistratura, a cominciare da quella che, nei primi anni Settanta, lo aveva visto imputato per emissione di assegni a vuoto. Ma la stella del sacerdote antidroga era diventata sempre più brillante, in concomitanza con l’ascesa politica di Silvio Berlusconi e del centrodestra italiano. Nel 2000, partecipando a una conferenza di Alleanza Nazionale, aveva creato non poco imbarazzo a Gianfranco Fini, affermando che l’invasione musulmana andava fermata: “gli islamici mettono a rischio la purezza dei nostri valori. Vengono qui e sposano le donne cattoliche per convertirle. È un germe che va estirpato”.

Il sodalizio con Berlusconi è così consolidato che nel 2005, in occasione dei festeggiamenti per i suoi ottant’anni, don Gelmini riceve in dono dall’allora premier un corposo assegno di cinque milioni di euro da utilizzare per le attività della comunità Incontro. La festa per gli 80 anni del sacerdote, organizzata da un comitato creato ad hoc è presieduto da Maurizio Gasparri, aveva visto la presenza di molti personaggi dello spettacolo, tra cui Gigi D’Alessio, Mogol e Amedeo Minghi. L’anno dopo, nel 2006, l’approccio duro e puro di Gelmini nei confronti della droga era stato decisivo per l’approvazione della discussa e discutibile legge Fini-Giovanardi, che equiparava droghe leggere e pesanti e di fatto regalava all’Italia una delle legislazioni in materia di droga più dure e proibizioniste dell’Occidente. Ma l’ascesa di don Gelmini era destinata ad essere arrestata nel 2007, quando la procura di Terni aveva dato il via all’inchiesta sui presunti abusi sessuali del prete nei confronti dei giovani ospiti dei suoi centri antidroga. Tutto era partito della denuncia di “Michele I.”, ex tossicodipendente minorenne all’epoca dei fatti, che aveva accusato Gelmini di abusi sessuali di vario genere. Ridotto allo stato laicale da Papa Ratzinger su sua stessa richiesta (“Per potermi meglio difendere dalle accuse”), don Gelmini aveva commentato l’inchiesta a suo carico con parole molto simili a quelle usate più volte dal suo amico Berlusconi: “Sono stato incastrato da toghe rosse e poliziotti infami“.

Il procedimento, che era stato sospeso per le cattive condizioni di salute dell’imputato, sarebbe dovuto ripartire nel 2015. Don Pierino Gelmini è sempre stato pericolosamente sospeso tra appassionato impegno sociale, controversie giudiziarie e imbarazzanti prese di posizioni politiche, e la sua morte non cancellerà di certo le discussioni attorno a una figura circondata da troppe ombre e pagine mai chiarite.

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