Stop all the clocks, oggi è morta l’infanzia. Succede così che in una calda serata d’agosto vengo a sapere della morte, probabilmente per suicidio, del mio attore preferito: Robin Williams. Un attore che ha accompagnato artisticamente tutta la mia vita e, a giudicare dalle reazioni contrite sui social network in tutte le lingue del globo, anche quella di chi è nato a metà anni Settanta, e di due o tre altre generazioni sparse per i quattro angoli del pianeta.

Anche se il signor Williams era malato da tempo di depressione, mi piace pensare che in nessuna redazione fosse già pronto un suo coccodrillo, vale a dire uno di quegli articoli che i giornalisti preparano in previsione della morte di qualche personaggio noto di cui si sospetta l’avvicinarsi dell’ultima ora. Non penso che fosse pronto il coccodrillo di Williams intanto per la sua tutto sommato giovane età, appena 63 anni, e poi perché – scusate la banalità dell’immagine – Robin Williams con il suo sconfinato talento d’attore totale ha dato corpo al mondo dei sogni per uno o due miliardi di persone. E i sogni, si sa, non si vorrebbe mai vederli morire, meno che mai per mezzo delle proprie mani. Come scrisse a riguardo in modo perfetto Herman Hesse ne Il lupo della steppa: “Tutti i suicidi conoscono anche la lotta contro la tentazione del suicidio. In qualche angolino della mente ognuno di loro ha la convinzione che il suicidio è bensì una via d’uscita, ma in fondo un’uscita di soccorso piuttosto volgare e illegittima, e che è più nobile, più bello lasciarsi vincere ed abbattere dalla vita che dalle proprie mani.”

La morte di alcuni personaggi famosi del mondo dell’arte è una morte molto particolare. Quando ne veniamo al corrente, siamo inevitabilmente spinti a ricordare tutti i momenti della nostra esistenza in cui la data canzone o il dato film ci hanno colpito al cuore, ora regalandoci una risata stentorea, ora liberandoci da lacrime che, per qualche motivo, ci ostinavamo a non voler perdere. Robin Williams, dall’alto della sua immensa e formidabile carriera prima teatrale, poi televisiva e infine cinematografica, ha rappresentato per quattro decenni tantissimo per moltissimi. Il messaggio di cordoglio della famiglia Obama ha fermato questo macro-meta-significato della sua arte con un’immagine plurale e felice: “Robin Williams è stato un aviatore, un medico, un genio, una tata, un presidente, un professore, un Peter Pan al grido di ‘Bangarang!”, e tutto il resto. Ma è stato un unicum. Atterrò nella nostra vita nei panni di un alieno, ma è riuscito a toccare ogni parte dello spirito umano. Ci ha fatto ridere. Ci ha fatto piangere. Ha dato il suo talento incommensurabile liberamente e generosamente a chi ne aveva più bisogno, dalle nostre truppe di stanza all’estero, agli emarginati sulle nostre strade. La famiglia Obama offre le proprie condoglianze alla famiglia di Robin, ai suoi amici, e a tutti coloro che hanno trovato la propria voce e il proprio verso grazie a Robin Williams.”

E proprio questo è il lascito artistico incancellabile dell’attore: rimane e rimarrà vivo per altri cento anni, o forse più, nella memoria di uomini, donne e bambini di tutto il mondo. Ci rimarrà come il Mork di Mork e Mindy (60 milioni di spettatori a puntata nei soli Stati Uniti nel periodo 1978-1982), o forse come l’idealista professor John Keating nel capolavoro L’attimo fuggente. O magari come l’imprevedibile tata di Mrs Doubtfire – Mammo per sempre, o il radio giornalista Adrian Cronauer (personaggio realmente esistito) nell’ironico e tragico Good Morning, Vietnam, o, ancora, il saggio terapista Sean Maguire in Will Hunting – Genio ribelle, o il dottore-pagliaccio Patch Adams nell’omonima pellicola e in centinaia d’altri film e personaggi che hanno avvicinato ciascuno dei suoi spettatori a un momento di incanto e di sospensione mitica del tempo e delle questioni.

Poi, come accade sempre nella pornografica serializzazione d’una notizia che colpisce tanti per diversi giorni, verremo a sapere i lati di luce e quelli di ombra dell’essere umano Robin Williams. I suoi gesti di beneficenza, il suo impegno per l’amico Christopher Reeve divenuto quadriplegico, la sua dipendenza dalla cocaina e dall’alcool, i suoi diversi matrimoni e divorzi, il suo maledetto disturbo bipolare che lo ha, in ultimo, sopraffatto. Ma, soprattutto noi nati alla metà degli anni Settanta, noi che siamo stati letteralmente svezzati dalla magia di questo Immenso Attore al saluto di “nano-nano“, lo vogliamo ricordare salendo per un’ultima volta in piedi sul nostro banco, salutandolo al grido di “Oh Capitano, mio Capitano!“: grazie, signor Williams, per aver reso un po’ più ricca d’arte e di spirito la vita di un miliardo o due di esseri umani.

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