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Gaza: alla pace non c’è alternativa

Gaza: alla pace non c’è alternativa
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Il presidente della Croce rossa internazionale Peter Maurer, dopo aver visitato Gaza ha dichiarato di non aver mai visto uno sfacelo simile e una tale distruzione massiccia. Nel frattempo riprende il lancio dei missili di Hamas e i raid israeliani. Non si uscirà quindi mai da questo incubo?

A me pare che la pace sia possibile e necessaria. A monte di tutto c’è una questione di fiducia e riconoscimento reciproco. Finché si avrà di Hamas l’immagine di una banda di sanguinari terroristi non sarà evidentemente possibile procedere ad alcun accordo degno di questo nome. Ma questa demonizzazione ha senso solo per perpetuare il conflitto ad infinitum e coprire le politiche coloniali e razziste al momento applicate dal governo israeliano. Voglio quindi aggiungermi a tutti coloro, per ultimo l’ex presidente statunitense Jimmy Carter e l’ex presidente irlandese Mary Robinson, che hanno sostenuto con forza la necessità di negoziati paritari e aperti fra Israele e le organizzazioni palestinesi, compresa Hamas.

Un negoziato del genere è del resto in corso, sia pure in modo molto frammentato e discontinuo al Cairo. Occorre che tale negoziato sia perseguito fino alla fine totale delle ostilità. Le rivendicazioni palestinesi, relative alla cessazione del blocco contro Gaza, alla liberazione dei prigionieri politici palestinesi, all’apertura di un porto e di un aeroporto a Gaza, alla creazione di punti di collegamento diretti fra Gaza e Cisgiordania, mi pare siano assolutamente comprensibili e compatibili con l’obiettivo finale dei due Stati. Occorre aggiungere la fine della politica illecita di colonizzazione dei territori occupati da parte israeliana. Vanno inoltre previsti meccanismi volti a garantire la sicurezza di entrambe le parti, come proposto fra l’altro dal governo cinese. La logica dei due Stati costituisce oggi più che mai la soluzione possibile a un conflitto che ha fatto già fin troppe vittime innocenti.

Questo per quanto riguarda i rapporti bilaterali fra israeliani e palestinesi. Ma incombono obblighi anche sul resto della comunità internazionale. A cominciare dal governo egiziano che deve rendere pienamente praticabile il punto di passaggio di Rafah. E, per quanto riguarda la comunità internazionale nel suo complesso, l’invio di una forza di interposizione militare a tutela della popolazione civile a Gaza e in Cisgiordania, che sia dotata dei mezzi necessari ad impedire nel futuro ogni violazione del cessate il fuoco. Last but not least, deve intervenire la giustizia internazionale, per punire ogni crimine di guerra e contro l’umanità, nonché ogni atto di genocidio che sia stato compiuto nel conteso di questo sanguinoso conflitto, chiunque ne sia stato l’autore. Voglio rinviare al riguardo al dibattito, a tratti interessante, che si è avviato in seno alla comunità scientifica dei giusinternazionalisti italiani a seguito della pubblicazione dell’appello di cui ho dato notizia qualche post fa.

Nessuno si illuda di poter nascondere la testa sotto la sabbia. Il sangue innocente versato a Gaza ricadrà su tutti noi. Tutta l’aerea medio-orientale è in preda a sanguinose guerre civili fomentate in buona parte dall’Occidente che si illude di poter continuare la sua politica di dominio mondiale con il ricorso alla forza e l’esportazione, da tempo fallita, del suo deficitario e inefficace modello di democrazia. Unico risultato di questa politica scellerata è stata la diffusione del fondamentalismo islamico che, come in Iraq, sta dilagando mettendo a repentaglio ogni possibile coesistenza pacifica con le minoranze cristiane, ezide e kurde. Per non parlare del possibile effetto derivante dal rientro in Europa dei combattenti islamici che hanno operato in Libia, Siria ed altrove.

Alla pace non c’è alternativa. Ma non sto parlando della pace dei cimiteri che Netanyahu si illude di poter imporre a Gaza. Ogni progetto di pace deve contemplare eguali diritti per tutti e la fine dell’assoggettamento di tipo coloniale che il governo israeliano ha portato avanti da tempo nei confronti dei palestinesi. Politica criminale, cominciata a partire dall’assassinio di Rabin da parte di un estremista di destra israeliano nel contesto di una campagna di odio promossa in prima persona da Netanyahu. Politica che ci sta portando verso un baratro senza fondo e che deve essere condannata e rigettata a livello internazionale, con precise sanzioni volte a determinare il suo definitivo abbandono, come richiesto anche dalla parte più illuminata della stessa comunità ebraica in ogni Paese.

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