Essendo un personaggio di fantasia godo di alcuni privilegi, spero mi perdoniate. Tra questi la possibilità di dialogare con altri detective del passato. Può accadere, per esempio, che mi convochi il commissario De Vincenzi della questura di Milano. “Cosa avrò mai combinato” mi chiedo subito e mi precipito nella sua dimora di corso Sempione. Ad aprirmi l’anziana balia Antonietta, la quale mi dice di pazientare, ché il commissario è immerso nella vasca. Non mi resta che rimirare la sua imponente biblioteca: Platone, Freud, Wilde, Lawrence, San Paolo… “Caro Zappa” sento a quel punto, “grazie di essermi venuto a trovare!”

È Carlo De Vincenzi, che in vestaglia e sorseggiando l’immancabile caffè mi porge la mano. Devo dire che rimango un po’ perplesso. Il commissario non assomiglia a Paolo Stoppa, il quale negli anni 70 lo interpretò in un fortunato sceneggiato per la Rai. Ha 35 anni, anche se sembra più vecchio di me, ed è un uomo serafico e malinconico. “Mi puoi accompagnare in questura” mi dice. “Così ti spiego perché ti ho convocato”. Usciamo in corso Sempione e io mi dirigo verso via Fatebenefratelli. Vengo subito richiamato. “Zappa, dove vai? La questura non è da quella parte. È in piazza San Fedele”.

Che pirla, penso. È vero. La questura di Milano fino al 44 era di fianco a palazzo Marino. Solo nel 44 si è trasferita in via Fatebenefratelli. E nel pensarlo mi guardo in giro. La Milano di Carlo De Vincenzi è quella fascista e del lago bituminoso di nebbia, dentro cui le lampade ad arco aprivano aloni rossastri. È quella dei gialli censurati dal Minculpop, i quali, se proprio dovevano essere ambientati qui da noi, che almeno avessero l’assassino straniero (meglio se della perfida Albione). Ma è anche la Milano del liberty. “Tutte case costruite al principiar del Novecento” mi dice il commissario camminando per le vie, “quando, col secolo nuovo, imperò l’atroce stile liberty, tutto curve e svolazzi” Insomma, è sempre più immusonito. 

“Il problema” gli dico prendendolo sotto braccio, “è che lei, come ha detto il giallista Carlo Oliva, è una variante piuttosto letteraria del modello Maigret”. Dunque è un uomo colto e amante dell’arte. E forse, come dicono il vice commissario Sani e il maresciallo Cruni, suoi fedeli collaboratori, più che il capo della squadra mobile doveva fare il poeta…” Finalmente gli strappo una risata. E una risposta delle sue. “Proprio per questo ho fatto il poliziotto: perché forse sono un poeta come tu dici. Io sento la poesia di questo mio mestiere… La poesia delle notti d’attesa, con la nebbia sulla piazza, fin dentro il cortile di questo antico convento, che oggi è sede della questura e ha i reprobi al posto dei santi!

Siamo infatti arrivati in piazza San Fedele. Entrare in questura, con tutto l’affetto per il commissario, preferirei evitarlo. Siamo pure sotto il fascismo. “Cosa vuole da me?” gli chiedo davanti al portone. “Vedi, Zappa, tu un po’ mi conosci. Forte è in me la convinzione che solo il caso ci governa. Il caso, nume tutelare di coloro che si trovano alle prese col mistero… Tuttavia ogni tanto il caso deve essere preso per le corna. E io devo chiederti un piacere”. 

Il commissario mi prende le mani e mi guarda negli occhi. Finalmente capisco perché è capace di leggere nel profondo del cervello e del cuore umano. Mi dice: “Il 18 luglio 1944 morirà il mio creatore, lo scrittore Augusto De Angelis. E io so, perché ho condotto le mie indagini, che tu presto vivrai il 18 luglio del 2014. E so anche che hai molti amici nel mondo della stampa. Allora ti chiedo: fai pressione affinché sia ricordato il nome e la figura di Augusto De Angelis. Te lo chiedo da detective a detective…”

Lo saluto con la promessa che avrei fatto di tutto. E tornando verso il presente penso ad Augusto De Angelis, ossia “il vero creatore del giallo all’italiana”, il quale scriveva sotto il fascismo e gli strali della censura. Augusto De Angelis, che durante la Repubblica di Salò venne incarcerato a causa di scritti antifascisti e poi preso a pugni e calci da uno sgherro del Duce a Bellagio. Gli toccarono giorni di dolore che, come ricordò Oreste Del Buono, “seppe sopportare con il solito coraggio e la solita mitezza. Morì il 18 luglio 1944: aveva soltanto 56 anni ed era pieno di progetti e di sogni…

Ve lo prometto. Non appena arrivo a casa chiamo il mio amico giornalista Mario Peca. E gli ordino di avviare la campagna stampa! (Però, mi raccomando, non dite in giro che aiuto i commissari).

p.s. Le parti in corsivo sono tratte dai gialli di Augusto De Angelis, editi da Sellerio. Citati, anche: Maurizio Pistelli, Un secolo in giallo, Storia del poliziesco italiano, Donzelli; e Carlo Oliva, Storia sociale del giallo, Todaro Editore.

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