“Questi non hanno mai lavorato”. Nella testa di Silvio Berlusconi “questi” erano i deputati e nel ’94, quando ebbe inizio la sua seconda vita, la considerazione dell’ex Cav. per la classe politica era prossima allo zero. Quella frase aveva in realtà un suo preciso obiettivo, racchiudendo in un unico soggetto il suo disprezzo per l’intera categoria. Il soggetto era Massimo D’Alema. Lo ripeteva spesso a noi giovani cronisti: “D’Alema non ha lavorato un solo giorno in tutta la sua vita”, con il che definire plasticamente quei “professionisti della politica” che lui considerava come autentici assistiti della società e dunque distanti anni luce dalla vita superimpegnata che lo aveva portato ad essere un imprenditore di successo.

Confesso che quella semplificazione mi ha sempre affascinato. Innanzitutto, perché lo pensavo anch’io. Ancora vent’anni fa questo schema era molto presente nel Parlamento italiano, si parlava di innesti della società civile ma erano per lo più specchietti per le allodole, in realtà il potere vero era totalmente nelle mani dei soliti noti, che avevano fatto le loro oneste carriere all’interno dei partiti. Non avendo, appunto, “mai lavorato un solo giorno”. Sì, c’è stato l’attimo fuggente di una Madia estratta dal coniglio di Veltroni o di un Colaninno Jr. che richiamava un padre decisamente più famoso, ma niente più di questo. I due, peraltro, sono ancora presenti in Parlamento. Con esiti, la cui valutazione affido ai lettori.

A distanza di vent’anni, resto serenamente pessimista sul livello dei nostri uomini politici e soprattutto sulla qualità dei professionisti che occupano gli scranni parlamentari. Tanto che vorrei ribaltare la vecchia considerazione berlusconiana, per farne una mia, personalissima: “Ma quanti di questi deputati, usciti da Camera o Senato, riusciranno a trovare un lavoro con le sole forze professionali di cui dispongono?” Lo potranno fare tutti coloro che sono in carico allo Stato (e quindi alla comunità) che grazie all’aspettativa potranno rientrare nelle loro strutture (persino i magistrati, sono passati anni e anni e non siamo riusciti a fare un decorosa legge che gli impedisca l’andata politica e il ritorno professionale). Gli altri, i liberi professionisti per intenderci, dovrebbero rimettersi sul mercato e mostrare ciò di cui sono capaci.

Ci sono ottimi motivi per cui i più bravi della società nei loro mestieri non accetteranno mai di “pascolare” all’interno delle istituzioni politiche. Intanto perché per lunghissimi anni non potranno aggiornarsi, dovendo vivere la realtà assai poco parallela della cosa pubblica, e poi perché si accorgeranno ben presto di essere semplici rotelle all’interno di un meccanismo più grande, in cui sentirsi stritolati e senza la possibilità di incidere. Da qui alla depressione il passo è breve. Ci dobbiamo dunque rassegnare agli scarti della società civile? In qualche modo, sì. Anche perché la politica di questi ultimi vent’anni ha fatto terra bruciata di moltissime speranze, ha “ucciso” grandi personalità nella culla, ha convinto la stessa società civile che è meglio non partecipare. Non perché la società civile sia “meglio” della classe politica, così, per definizione. Mettere l’una contro l’altra è stata un grande errore dei nostri tempi, una sintesi possibile c’è, forse si può ancora trovare, a patto che la classe politica ne riconosca il valore. Nutro qualche dubbio che anche questa nuova infornata politica sia dotata di questa lungimiranza.

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