Le immagini dei disordini iracheni trasmesse dai network internazionali in queste settimane hanno una familiarità inquietante, come se gli orrori del decennio passato venissero riprodotti specularmente. In molti si chiedono cosa stia succedendo in Iraq, per comprenderlo è opportuno risalire alle origini di una crisi lunga centinaia di anni.

Quando è iniziato il caos? La risposta dipende da quanto siamo disposti a guardare indietro. La divisione tra sciiti e sunniti risale ai tempi nei quali si dovette decidere come dare seguito alla successione di Maometto (A.D.632) nella guida dei fedeli e nel tramandare e interpretare la dottrina islamica. Gli sciiti rappresentano il ramo minoritario dell’Islam (rispetto ai sunniti), ma costituiscono la maggioranza in Iraq e la stragrande maggioranza in Iran. Nel 1916 cominciano a registrarsi i primi disordini, l’Impero Ottomano cade e perde tutti i suoi possedimenti, mentre grosse sommosse popolari minacciano di sfiancare un apparato statale ormai logoro. Quindi l’occupazione britannica, l’indipendenza nel 1919 e cinque colpi di Stato in 60 anni. Viene dapprima rovesciata la monarchia, opera della Germania nazista, e parte la più eclatante persecuzione ebraica irachena, il Farhud; nel ’58 è il Comitato degli Ufficiali Liberi guidati dal generale Abdul Karim Kassem ad istituire la Repubblica. Kassem è in un certo senso nipote di Kemal, “il Padre dei turchi” (Ataturk), come nel tempo lo saranno quasi tutti i leader arabi della regione: dal generale Neguib in Egitto ad Hafez Al Assad in Siria.

L’onda della laicità e dell’identità nazionale da quel momento prende corpo negli ambienti militari. In Iraq sale al potere il partito Bath, sostenuto proprio dall’Egitto, di Nasser. Poi un nuovo rovesciamento del potere, la ripresa del panarabismo con Ahmad Hasan al-Bakr e il “trono” di Saddam, nel ’79, che però abbandona subito l’ispirazione socialista. Da quel momento è un susseguirsi di conflitti, più o meno pesanti: la “guerra imposta” con l’Iran, la prima Guerra del Golfo e la seconda, nel 2003, con un’Iraq fortemente limitata nella sua sovranità. L’attacco alle Torri Gemelle sancisce la fine di Saddam Hussein, che fino ad allora era riuscito a tenere spietatamente in piedi la nazione per circa due decenni favorendo i suoi compagni sunniti e cancellando i “cugini” sciiti e curdi.

George W. Bush coniando l’espressione “Asse del male” dichiara al mondo intero gli obiettivi da abbattere. Gli “Stati canaglia” sono Iraq, Iran e Corea del Nord. Si parte però dalla prima, lo scopo è la deposizione di Saddam, accusato di avere dei legami con Al Qaeda ed essere in possesso di armi di distruzione di massa. E’ un falso clamoroso, gli americani in realtà vogliono rendere più sicuri i propri approvvigionamenti energetici riducendo l’importanza di Paesi come il Venezuela di Chávez, o della stessa Arabia Saudita. Sperano di cacciare Saddam ed instaurare una democrazia amichevole condiscendente verso le compagnie petrolifere occidentali. Riescono nell’intento, anche se di democrazia non sarà mai possibile parlare. Una scia di attentati, stragi, rapimenti e scontri settari si abbatte sull’Iraq.

L’uscita di scena degli Stati Uniti nel 2011 segna il colpo di grazia ad un Paese in subbuglio per tutta la sua storia. Nouri al-Maliki, sciita, sale al governo sotto la spinta di Washington, ma invece di ricucire le ferite apre un capitolo e lo titola “vendetta”: esclude i sunniti dal processo politico, li imprigiona, ordina maltrattamenti, mentre i curdi restano concentrati sulla costruzione della loro enclave.

Il vuoto di potere e la crisi siriana oggi hanno aperto il cammino a decine di cellule qaediste. L‘Isil è solo la sigla più forte, oltre al gruppo di Abū Bakr al-Baghdādī sono centinaia i miliziani solitari che si alleano con l’una o con l’altra formazione. E’ difficile credere che mille anni di violenze si cancellino da un giorno all’altro. Forse non basterà un mese, un anno, non basterà un secolo. E fino a quel momento, noi, ripensando al passato, oggi non possiamo far altro che restare a guardare.

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