La tortura non è un reato. Non lo è in Italia dove il Papa ci ricorda che è almeno un “peccato mortale”. Ma è un reato secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo che ci condanna per l’ennesima volta. Dimitri Alberti, un cittadino italiano della provincia di Verona, viene arrestato dai carabinieri in un bar. Quattro ore più tardi è in carcere con tre costole fratturate e un ematoma al testicolo sinistro che, secondo i giudici europei “appa­iono incom­pa­ti­bili sia con una condotta legale dei carabinieri che con la tesi, soste­nuta dai mili­tari, che Alberti se le fosse inflitte da solo”.

Quest’ultima frase la leggo sul Manifesto. Uno dei pochi quotidiani che riportano la notizia. Eppure oggi è la giornata internazionale a sostegno delle vittime di tortura, la Nazionale torna sconfitta dal Brasile: la stampa dovrebbe avere una distrazione in meno e più tempo per concentrarsi su questioni importanti.

Pare che anche Renzi sia uscito dall’aula del Senato per andarsi a vedere la partita. Adesso speriamo che rientrino tutti per votare una legge contro la tortura che in Senato è già passata, ma deve essere approvata alla Camera. Ce lo chiede l’Onu e ce lo ricorda l’Europa con l’ennesima condanna. 

Siamo fuori dal mondiale del calcio, ma almeno cerchiamo di entrare nel mondo civile.

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