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Giornata della libertà d’informazione, bandiera grigia non trionferà

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Il 3 maggio è la giornata mondiale dedicata alla libertà di informazione voluta dall’Onu. Tutti i rapporti internazionali segnalano la recrudescenza della attività di censura, di controllo e di spionaggio. Non solo dunque in quelli che, da sempre sono considerati “Paesi bavaglio“, (dalla Cina all’Iran, dalla Turchia alla Corea del Nord), ma anche negli Stati Uniti, dove la vicenda Datagate ha squadernato di fronte alle pubbliche opinioni il tema dello spionaggio e del controllo delle “vite degli altri”.
L’Italia che occupa un vergognoso ultimo posto in Europa, insieme all’Ungheria di Orban, non ha migliorato la sua mediocre collocazione.
Del resto perché mai avrebbe dovuto risalire?

Il conflitto di interesse, considerato all’estero una grave anomalia, non è stato neppure sfiorato. Un ex presidente, condannato in via definitiva, usa a suo piacimento le reti di sua proprietà (e non solo), cosa che qui appare “normale”, ma che, nei cosiddetti paesi liberali, è invece considerata gravissima. La par condicio è stata abrogata senza neppure bisogno di un voto parlamentare.
Come se non bastasse, nonostante i richiami dell’Europa, l’ex presidente ha anche contribuito a nominare le Autorità di garanzia che avrebbero dovuto controllarlo e il consiglio di amministrazione della Rai, una diretta concorrente delle sue aziende, anche questa all’estero sembra una anomalia grave!
Le ragioni di questa pessima classifica risiedono anche nell’assenza di una seria normativa antitrust, nelle interferenze dei governi e delle forze politiche nella gestione della Rai, nei ripetuti tentativi di far approvare leggi bavaglio, nelle minacce nei confronti dei cronisti che indagano su mafie, camorre, intrecci tra politica e malaffare.

Sino ad oggi, neppure con il nuovo governo si è visto nulla di nuovo, anzi anche il decreto per chiedere alla Rai parte dei soldi del canone si è inserito nel solco delle ingerenze dell’esecutivo, esplicitamente censurate dalle sentenze della Corte Costituzionale e dalle stesse indicazioni delle istituzioni Europee.
Mai come in questo settore servirebbe l’annunciato “cambio di verso”, ma, almeno per ora, non si è visto nulla, forse perché il titolare del principale conflitto di interessi dovrebbe compartecipare alla riforma elettorale e travestirsi persino da padre costituente.

Confidiamo nel 3 maggio 2015, nella speranza che gli innovatori di oggi non vogliano, almeno in questo campo, ripercorrere le orme dei loro predecessori.

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