Raccontò un giorno Mario Vargas Llosa – con una punta di divertita indignazione – di quell’incauto “ammiratore” che l’abbordò durante un volo da Madrid a Santa Cruz de Tenerife. Fu la hostess a segnalargli che un passeggero, suo fedelissimo lettore, voleva assolutamente conoscerlo. L’uomo, emozionato, la voce tremante, gli disse: “Non sa quanto l’ammiro. Leggerla mi ha cambiato la vita”. Ma poi, l’ingenua coltellata: “Soprattutto Cent’anni di solitudine, è qualcosa che ho riletto non so quante volte”. Commentò Vargas: “Non mi azzardai a dirgli: guardi che si sbaglia, io non sono García Márquez. Pensai che gli avrei procurato una terribile delusione”. Fosse accaduto in un’altra epoca, il colombiano e il peruviano ne avrebbero riso insieme, in modo disteso, come accadeva ai tempi delle loro frequenti rimpatriate barcellonesi, quando Gabito e Varguitas non solo condividevano l’esaltante esperienza del “boom latinoamericano” della capitale catalana (tra la fine degli anni ‘ 60 e l’inizio dei ‘ 70, la città ospitava anche Cortázar e Fuentes, riuniti nella “scuderia” della grande agente letteraria Carmen Balcells), ma erano legati da una grande amicizia.

Oltre a essere, con le mogli Mercedes e Patricia, vicini di casa del quartiere di Sarrià. Una complicità che si spense – e per sempre – molto presto. L’ultima foto che li ritrae insieme è quella scattata, nel 1974, durante la festa d’addio voluta da Balcells in omaggio a Vargas Llosa che abbandonava Barcellona con destinazione Londra. Subito dopo, completata la stesura de L’autunno del patriarca, anche Gabo lascia la Spagna. Si stabilisce a Città del Messico. Ed è lì che, nel 1976, i due futuri Nobel si ritrovano in occasione dell’anteprima privata di un film. Secondo la ricostruzione dell’episodio fatta dalla moglie Mercedes Barcha, García Márquez si diresse a braccia aperte verso l’amico, ma fece appena in tempo a esclamare “Mario!”, che ricevette in cambio un pugno ben assestato in pieno volto. La testimonianza grafica è in quella foto – occhio nero, evidente ematoma – che lo stesso Gabo si premurò di far scattare al suo amico Rodrigo Moya e che è stata pubblicata solo 7 anni fa sul quotidiano messicano La Jornada.

Come siano andate esattamente le cose, nessuno dei due l’ha mai voluto raccontare nei dettagli per un tacito patto del silenzio (“noi non parliamo mai di noi stessi, per dare lavoro ai biografi”, spiegò un giorno Vargas Llosa). Si dice che il peruviano accompagnò il gancio con la frase: “Questo è per ciò che hai fatto a mia moglie”. Secondo alcuni giornali colombiani dell’epoca, Gabo avrebbe suggerito a Patricia di separarsi dal marito per una presunta infedeltà con una ragazza svedese. O forse Patricia, per vendicarsi della fuga d’amore, aveva dato intendere a Mario di essersi consolata “con il tuo grande amico Gabo”. Impossibile sapere se sia solo un affare di cuore: la strade dei due mattatori si separarono per ragioni politiche. Gabo legato alla causa del castrismo, Mario su posizioni sempre più neoliberali, fino a una candidatura fallimentare alle presidenziali peruviane, sconfitto dal futuro dittatore Fujimori. E dire che, nel 1971, aveva dedicato proprio all’opera di Márquez la tesi con la quale si laureò alla Complutense di Madrid, poi pubblicata col titolo Historia de un deicidio.

Il Fatto Quotidiano, 19 aprile 2014

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